Fra le stravaganze creative nel tempo del lockdown, c’è anche In translation, il primo album di cover del leggendario Peter Hammill, 72 anni, leader e fondatore della band di rock progressive Van Der Graaf Generator. Esce il 7 maggio, è un lavoro importante per le scelte artistiche e per le versioni assai personali di Peter, che traccia una strada e trasforma a modo suo anche un pugno di grandi canzoni italiane d’autore. Ce lo racconta lui stesso, in questa intervista esclusiva da Bradford on Avon, cittadina non lontano da Bath.
Com’è successo che lei si sia deciso a registrare il suo primo album di cover dopo 50 anni di carriera?
«Quando è cominciato il lockdown in Inghilterra, ed è diventata chiara la gravità del Covid e l’incertezza della situazione, mi sono accorto che non riuscivo a cominciare a scrivere nuovo materiale per me. Con un futuro tanto imprevedibile, non mi sentivo di poter salire in cattedra. Così ho cominciato a lavorare alle cover di alcune canzoni, solo come divertimento ed esercizio di registrazione. All’inizio non era un progetto serio, non ero sotto pressione. Poco alla volta è diventato chiaro che questa raccolta di canzoni aveva imprevedibilmente un suo perché, ed è diventato un impegno molto serio».
Ci possiamo vantare, da queste parti. 4 su 10 canzoni sono di grandi autori italiani, De André, Luigi Tenco, Donida-Mogol e Piero Ciampi: anzi la sua Il vino è stata alquanto dimenticata. E gli altri pezzi?
«Conoscevo Uno dei tanti di Mogol-Donida, nella grande versione di Shirley Bassey. Mi sono interessato a Tenco dopo aver ricevuto la Targa proprio al Premio Tenco di Sanremo, nel 2004. Ho conosciuto la sua storia e qui sono tornato alla canzone della sua ultima notte, Ciao amore ciao. Fabrizio aveva delle hit quando i VdGG giravano l’Italia e ho più di un legame con lui, avendo lavorato con la PFM. Anche qui, all’inizio sono stato attratto da Hotel Supramonte per la storia che c’era dietro. Mi è stato conferito pure il Premio Ciampi, e ho cercato un suo pezzo adatto. Poi sono stato a lungo un fan di Piazzolla, ma non sapevo molto della sua forma-canzone: mi è piaciuta Oblivion nella versione di Milva, grande interprete del suo repertorio, e sulle scene con lui. Debbo dire che ho suonato spesso in Argentina, e sento lo stesso legame che ho con l’Italia».
Lei ha anche tradotto i brani in inglese
«L’ho già fatto in passato, pure per Felona e Sorona delle Orme, e mi è sembrato naturale anche questa volta, sia come esercizio tecnico-creativo, sia per darne un’interpretazione appropriata. Quando traduco non cerco tanto l’esatta versione dell’originale, quanto elementi culturali e letterari. Debbo infine confessare che è stata Alice a introdurmi al pezzo di Fauré con il suo Melodie Passegère».
Signor Hammill, lei ha una grande familiarità con l’Italia. Nel 1992 ha scritto una canzone su Primo Levi, Primo on the parapet. Come mai?
«Avevo sempre apprezzato il suo lavoro, e in particolare il fatto che con i suoi scritti volesse mantenere viva la memoria dell’Olocausto. La canzone in suo onore aveva un po’ il suo stesso proposito».
Con i Van Der Graaf Generators stavate per cominciare un tour prima della pandemia vero? Lo avete riprogrammato? E magari avete tirato fuori dai cassetti buon materiale dei ‘70?
«Sì, esattamente un anno fa ero appena tornato dalle prove dei VdGG, pronti al tour. Ma avevamo visto la situazione in Italia e realizzato che sarebbe stato abbastanza improbabile realizzare il progetto in quel momento. Siamo ancora ansiosi di suonare e speriamo di rimetterci all’opera in settembre. Faremo vecchie cose ma anche canzoni dal nostro ultimo album Do Not Disturb per la prima volta dal vivo. E’ insieme una sfida e un privilegio essere ancora capaci di fare tutto questo».
Ho visto online Robert Fripp e sua moglie Toyah ballare in giardino in alcuni video divertenti. L’avrebbe mai detto?
«Ho un’idea vaga di quei clip, non saprei come commentare»
Ci racconta la sua vita fra Brexit e Covid in Inghilterra?
«La vita qui è ancora dura per il Covid, e il nostro Governo non ci ha ispirato fiducia nella gestione della pandemia. C’è anche stata una certa dose di corruzione. In quanto alla Brexit, è stato incredibilmente triste. Non riesco a pensare a un altro caso in cui un Paese si sia inflitto da solo un danno simile. C’è quasi un senso di desiderio di morte, e naturalmente tutto ciò è anti-culturale in senso profondo. In qualche modo, dopo aver completato questo album, ho realizzato che in esso c’è qualcosa che ha assolutamente a che fare con il mio apprezzamento per una vita vissuta da europeo, com’è stata la mia: con tutto ciò che la cultura europea mi ha dato, nel linguaggio come in tutto il resto. E in particolare ciò che mi ha dato l’Italia, come ha detto lei, per così tante canzoni italiane che ci sono qui nel disco, come origine e sentimenti. Davvero sento un legame con il suo Paese».
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