Caro compagno Sergio,
Voglio riportare una testimonianza che mi è capitata ieri, perché la ritengo un importante esempio di far seguire i fatti alle parole.
È successa ieri mentre stavo tornando in treno dall’ennesima giornata universitaria a Milano, per la precisione sulla tratta Novara-Domodossola. Partiti e sentito il solito elenco delle fermate con la solita voce sintetica, vediamo ad un certo punto una ragazza indiana sgranare gli occhi per aver sbagliato treno. Avrà avuto 13-14 anni, aria da prima superiore; probabilmente non ha ancora preso dimestichezza con ritardi ed attese del numero del binario.
Nel frattempo, io e mia sorellla (anche lei di ritorno dalle sue lezioni, a Vercelli) scopriamo che Lisa (nome di fantasia) abita a Bellinzago, un paesone a 10 minuti di macchina da Momo. Senza farci sentire decidiamo il da farsi: arrivati a Momo facciamo finta di niente avendocela ancora nel pensiero oppure no? Alla fine scegliamo il no (ogni riferimento al 4 dicembre è puramente casuale) e ci offriamo per accompagnarla in Panda fino a casa.
Scopriamo che Lisa risiede in una cascina fuori Bellinzago e quindi c’è tutto il tempo di scambiarsi due battute; e così viene fuori che, per arrivare a scuola, Lisa percorre ogni mattina da sola i tre kilometri che la separano dalla stazione di Bellinzago; tre kilometri che, stando al notturno delle sei di ieri sera, non sono per niente illuminati. “All’inizio ci mettevo trenta minuti, ora che la faccio in soli 15”, ci ha detto con l’aria di chi è riuscito a migliorare un obiettivo personale.
Mi viene spontaneo realizzare un parallelo con l’infanzia di mia madre, che a fine anni sessanta faceva a piedi il tratto da casa nostra (anch’essa una cascina) a Momo per frequentare elementari e medie ed apprendere i fondamenti del cucito dalla sarta di paese. Mi viene spontaneo ricordare mia zia, secondo cui i non paesani erano considerati come il terzo mondo dai paesani (figuriamoci in città!). Mi viene spontaneo pensare a ‘Una vita violenta’ di Pier Paolo Pasolini, dove le baracche della “Piccola Shangai” di Pietralata venivano prima abitate dai borgatari romani e poi da calabresi e pugliesi, i nuovi poveri di allora alla ricerca di una vita migliore.
Se avesse scritto il suo romanzo nel 2017, Pasolini avrebbe fatto abitare quelle zone dagli extracomunitari come Lisa, i nuovi poveri di oggi. E qui credo che la sostanza passi, ma che la forma di questi fenomeni permanga.
Perché faccio queste riflessioni? Per trarre una morale. Anzi due.
La prima è che siamo un po’ troppo imbevuti di una visione mediatica sull’immigrazione, condita di quel sensazionalismo che tu hai espresso magistralmente nella quarta vignetta di ‘Hello, Jesus!’. Polemizziamo sui barconi, sul “ci rubano il lavoro” e quant’altro, forse perché li vediamo da uno schermo e ci sembrano lontani. Salvo poi notare che il disagio nei nostri quartieri e nelle nostre campagne, la guerra tra poveri e poveracci la viviamo tutti insieme.
La seconda è che non possiamo pretendere un cambio di paradigma all’alto se i primi a non farlo siamo noi! Non foss’altro perché gli eletti sono il perfetto specchio del popolo che si vuole rappresentare, dimostriamo che il cambio di mentalità non può che venire dal sottobosco della nostra società.
Manuel Tugnolo
E’ la cosa più bella che hai scritto, caro Manuel. Come premio la invio ad Adriano Sofri che di Piccole Poste sul Foglio di questo tenore ne ha fatte tante.
Un grande abbraccio
Sergio
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Averne di ragazzi come te, caro Manuel! Ciò che dici è sacrosanto, ad aiutare i poveracci non è mai il ricco ma sono quelli come lui, o che stanno appena un po’ meglio. Certe esperienze bisogna averle provate sulla propria pelle, o ascoltate da persone a noi vicine, per capire il senso di certi sacrifici. E chi conserva questi “ricordi” si porta appresso un patrimonio di “umanità” che non mancherà di trasmettere, in azioni ed opere, a coloro che ne hanno bisogno.