La Repubblica ospita oggi un’intervista a Romano Prodi il quale ragiona su cosa fare, soprattutto nel Pd, dopo le elezioni in Emilia Romagna. Debbo dire che condivido, su quel risultato elettorale, gran parte di quel che dice l’ex presidente del Consiglio. Tuttavia, c’è un tema, che attiene al ruolo dei partiti, che voglio discutere perché non lo condivido pienamente.
Prodi giustamente sostiene che Nicola Zingaretti “deve andare avanti con il progetto di riforma del partito”. Poi chiarisce il suo pensiero su ciò che dovrebbe fare il segretario del Pd: “Bisogna uscire dalla logica della nomenklatura e della coabitazione che attualmente domina il Partito democratico. Nel Pd debbono avere potere coloro che sono capaci di raccogliere consensi e non di accumulare tessere”. Francamente non capisco perché chi è capace di raccogliere consensi non debba tradurli in adesioni al partito e, come in tutto il mondo, in tessere. Anche negli Usa, Democratici o Repubblicani, debbono registrarsi come tali: è come un tesseramento. Ma il Pd non fa congressi, piuttosto fa le primarie alle quali partecipano tutti i cittadini che vogliono votare se hanno un certificato elettorale e due euro. Gli iscritti, quindi, non contano nulla dato che il segretario è eletto con le primarie.
Il Pd, invece, dovrebbe fare i congressi, con gli iscritti che partecipano e si confrontano su posizioni diverse ed eleggono i dirigenti, anche il segretario come avviene dappertutto. Altrimenti si fa un Movimento e non un Partito. Anche se, è vero, nei Movimenti ci sono i capi che hanno ottenuto qualche investitura come è avvenuto con le Sardine. Comunque, vedremo se con la riforma lanciata da Zingaretti che vuole coinvolgere, come ha detto, pezzi della società e anche le Sardine, nascerà effettivamente un nuovo partito o un movimento. Io penso che dovrebbe nascere un grande partito. Plurale e democratico.
4 Comments
Ma Macaluso, sant’uomo, dov’è stato negli ultimi settant’anni?
Se fa finta di non capire cosa denuncia Prodi, vuol dire che non vuole capire la necessità di cambiamento del pd.
Prodi ha patito sulla sua pelle, e noi con lui, il peso delle conventicole che gli hanno abbattuto ben due governi.
Veltroni e Renzi hanno subito lo stesso trattamento, e noi abbiamo pagato con loro. Stiamo ancora pagando.
Le riforme necessarie si fanno, anche se danno fastidio a qualche casta intoccabile.
Non vedo finora alcuna discontinuità in Zingaretti.
Se ci sarà, sarò il primo a gioirne.
Per ora mi paiono solo affermazioni generiche. Non ce le possiamo permettere più: il Paese aspetta fatti, buon senso e buon governo.
Così si vince, sardine o non sardine, primarie o non primarie.
Caro Sergio,
L’essere umano quando giunge alla fine del percorso della propria vita, a 70 anni io mi sento esattamente nella suddetta posizione, dovrebbe essere più umile e riconoscere con onestà e concretezza i propri errori, i mancati obiettivi e la labilita’ delle proprie certezze.
Io credevo nel comunismo e mi sono battuto con passione e determinazione per poi scoprire che non funzionava ed è crollato miseramente in tutti quegli stati in cui con la forza era stato realizzato. Non solo, ma negli ex stati comunisti, dove si affermava la democrazia rappresentativa, pur essendo possibile per gli ex partiti comunisti ripresentarsi alle elezioni politiche, non trovano seguaci se non qualche dogmatico integralista e solitario. Io credo di aver trovato una spiegazione al fallimento del comunismo e mio personale e l’ho gia scritta su queste pagine. Voglio ripeterla però, sperando che qualcuno mi contesta le mie attuali certezze.
La filosofia comunista è fallita autodistruggendosi perché non ha tenuto conto delle seguenti tre caratteristiche fondamentali ed inalienabili per gli esseri umani: la competitività, la dignità e la libertà di parole.
Infatti nei regimi comunisti fu sostituito ” il padrone” con il funzionario di partito e soppressa l’iniziativa personale e la libertà di parola e quindi annullata la dignità umana.
Ora io penso sempre che gli umani debbano avere stessi diritti e stessi doveri, ma bisogna cercare un altro algoritmo per raggiungere l’obiettivo e credo che la democrazia rappresentativa sia attualmente l’unica strada. Mi fa tenerzza e nello stesso tempo rabbia leggere il pensiero di un ex impotante dirigente del PCI che non solo non ammette i suoi errori ed i suoi fallimenti ( il suo ed il mio PCI è crollato miseramente e definitivamente ), ma si spinge oltre e propone di organizzare il PD con gli stessi criteri del PCI fallito. A me sembra assurdo,leggermente provocatirio, oltre che inutile alle nuove generazioni la posizione del sig Macaluso. Non mi aspetto una sua risposta e chiedo scusa per essermi ripetuto su questo blog. Buona giornata a tutti Antonio De Matteo Pescara
Credo che su “ L’amaca” di Serra di oggi su Repubblica faccia riflettere e dovrebbe far riflettere anche Macaluso
Un abbraccio
Marco bs
Non vedo la contraddizione, comunque metto qui la bella “Amaca” che citi.
Questa del Pd (e dei suoi predecessori, dal Pds in poi) che “apre porte e finestre” alla società, ai movimenti, alle persone che hanno qualcosa da dire, l’abbiamo già sentita tante di quelle volte che crederci è diventato quasi impossibile. Ci metto un “quasi” perché ai miracoli è comunque giusto lasciare un piccolo varco, la vita abitua alle catastrofi ma anche alle sensazionali sorprese. Ma ne abbiamo viste e sentite troppe, negli ultimi trent’anni, per non sapere che un partito tende a essere un corpo chiuso, o che si rinchiude, che difende le proprie prerogative di potere e di decisione, che fa la scorza, si incallisce: insomma, non si fida.
Nell’ultima memorabile battuta di Manhattan, Mariel Hemingway dice a Woody Allen: «Sai, bisogna avere un poco di fiducia nella gente».
Lo dice in coda a una lunga, favolosa sequenza di inganni sentimentali e falsi ideologici (lo stesso Woody le ha fatto credere qualunque cosa, pur di sedurla), ed è proprio per questo che la battuta suona meravigliosa. Non si capisce se è totalmente ingenua o totalmente cinica; è comunque la classica battuta finale, memorabile e necessaria, quella che mette il punto e fa uscire dal cinema contenti.
“La gente”, in quel film come nella vita, è inaffidabile, narcisa e prepotente. Perfino più dei partiti. Nell’ultimo scorcio d’epoca, e specialmente in questo Paese, “la gente” ha spesso dato di sé un’immagine che non invoglia a frequentarla troppo. Eppure: o ci si fida della gente, ci si mischia e ci si immischia, o si diventa in poco tempo, e senza nemmeno accorgersene, dei misantropi sospettosi o dei vecchi rompicoglioni.