«Che tragedia, i partiti di un uomo solo». Romano Prodi accetta per la prima volta di parlare della politica italiana, dopo l’apertura a un governo in sintonia con l’Europa che aveva battezzato “Orsola” e un finale d’estate a osservare i radicali cambiamenti, e anche le follie, del quadro politico. Per un giorno l’ex premier ed ex presidente della Commissione europea, rinuncia alla consueta corsa mattutina («Sette chilometri, è il minimo sindacale») e nella sede della Fondazione dei Popoli, nella sua Bologna, l’uomo che inventò e guidò il centrosinistra unito usa toni insolitamente duri nei confronti di Matteo Renzi che ha promosso l’ultimo strappo.
Professore, una nuova scissione lacera il Pd. Che effetto fa a uno dei suoi fondatori?«Sono sempre stato l’uomo dell’unità e la risposta, nel mio caso, è scontata. Sono contro ogni divisione. La pensavo così anche quando il gruppo di Pier Luigi Bersani ha lasciato, temporaneamente, i Democratici».
Disse che si trattava di un suicidio politico.
«Appunto».
Si aspettava la rottura di Renzi?
«La sua uscita era assolutamente prevedibile. Ma ugualmente inspiegabile nei tempi. Non si può operare per costruire un governo e immediatamente mettere un’ipoteca sullo stesso governo».
Complicherà il percorso del governo Conte? E lei è forse pentito di aver sostenuto la necessità di un’alleanza tra chi aveva votato Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea?
«Il ritorno in Europa era una via obbligata per il Paese. Tuttavia, sotto l’aspetto della tenuta del governo, la scelta di Renzi ha meno importanza di quella che le si attribuisce. Adesso il suo eventuale distacco dal governo sarebbe palese e quindi lo pagherebbe più di prima».
Come legge allora la scelta dell’ex segretario ed ex premier? Il tentativo di diventare l’ago della bilancia, un caso di personalismo?
«Il personalismo si fa strada in tutti i partiti ed è una tendenza mondiale. Pensiamo a Trump e Bolsonaro. Il primo esempio, in qualche modo, è stato Berlusconi. Oggi però i personalismi sono ancora più esasperati fino a rischiare il ridicolo».
Il ridicolo, Professore?
«Dicono che non esiste più differenza tra destra e sinistra. Ed è vero che non c’è più la sinistra tradizionale, ma rimane il grande problema della distribuzione della ricchezza e delle disuguaglianze, che è eterno.
Perciò lo si chiami come si vuole, ma il problema delle differenze esiste ancora».
A proposito di nomi, Italia Viva come le pare?
«Bellissimo nome. Un mio amico lo propose per uno yogurt forse per via dei fermenti vivi. Il problema è che lo yogurt ha una scadenza ravvicinata e questo per un partito può essere un problema».
Vuol dire che l’azione solitaria di Renzi durerà poco?
«Parlo su serio: attenzione che i partiti personali funzionano la prima volta. Ripeterli crea problemi. Questo vale per tutti, per Renzi e forse anche per Salvini».
L’ex premier vuole fare come Macron in Francia.
«Peccato che lo abbia già fatto».
Intanto i democratici perdono un altro ex segretario in una nuova scissione.
«Le scissioni sono di moda in questi giorni e altrettanto la frammentazione. Magari fosse solo la sinistra… la gara della frammentazione non si sa chi la vince. Viviamo nella tragedia di un Paese che si frantuma nei personalismi».
Ma il Pd ha ancora un futuro?
«Sì, se ritrova la sua anima: un’anima di sinistra, ma soprattutto un’anima riformista.
E dovrebbe presentarsi con un solo punto all’ordine del giorno che è la condizione per tutto il resto: lotta spietata, organica e di lungo periodo all’evasione fiscale. L’Italia ha oltre 100 miliardi di evasione, recuperandone anche solo la metà risolveremmo tutti i problemi del Paese perché avremmo i mezzi per riportare giustizia e offrire opportunità vere ai giovani. Altrimenti tutte le promesse sono fasulle».
Lei parla di un’anima di sinistra. C’è chi teme che il Pd torni ad essere come i Ds.
«Il problema non è il ritorno delle bandiere rosse: qualcuna che sventola ancora c’è, ma si è perso lo stampatore. Le differenze però si acuiscono sempre più. Ecco perché al centro va messa la questione della giustizia fiscale. Perciò mi ha molto colpito l’intervista di Renzi che annunciava la sua uscita e come programma usava una sola parola: futuro. Un programma che potrei ripetere anch’io che ho compiuto 80 anni perché va bene sempre, per tutti. E non dice niente».
È particolarmente duro nei confronti di Renzi.
«Sì, perché nei partiti è obbligatorio saper stare in minoranza e confrontarsi continuamente nelle sedi appropriate anche quando si perde. Rifugiarsi alla Leopolda non sostituisce il confronto di un congresso aperto a tutte le tesi».
All’inizio dell’estate a Repubblica delle Idee lei avvertì che Salvini a forza di tirar dritto si sarebbe ben presto trovato in difficoltà nelle curve pericolose.
«Era giugno e le curve sono arrivate prima del previsto. Nella mia esperienza quando uno sfrutta la cresta dell’onda e non ascolta più nessuno, la sbandata arriva presto. E colpisce tutti coloro che salgono troppo e troppo in fretta. Me lo fece capire mia madre che, quando arrivai a casa appena nominato ministro, mi disse: ‘Bravo. Ma adesso, caro Ministro, porta via il pattume’».
Le curve adesso toccano al governo Conte. Per cominciare, Di Maio avrà di fronte non solo il Pd, ma anche l’odiato Renzi.
«Sì, ho letto tutti i conti possibili e immaginabili sulle maggioranze. Ma il punto è che questo governo può vivere a lungo solo se affronta i problemi, se decide e fa capire al Paese che vuole cambiare davvero l’Italia».
Quali decisioni si aspetta?
«Una sola, mi basta. Se si riduce drasticamente l’evasione fiscale allora ci si può dedicare alla scuola e alla sanità, si possono ridurre le ingiustizie, sveltire la burocrazia… tutto quello su cui riflette chi ama il Paese. Perché senza i mezzi per fare, si illude il Paese e l’Italia non guarirà mai».
Tra pochi mesi si vota per le regioni, Emilia compresa. Se perde, il governo va sotto.
«Se il governo comincia a governare, non perde l’Emilia e vince anche in Lombardia».
A proposito, come si sbroglia la matassa dell’autonomia delle regioni?
«L’autonomia non è un problema che riguarda solo tre regioni, ma tutto il Paese. Per questo ripeto che qualsiasi partito, a cominciare dal Pd, dovrebbe prendere le decisioni dopo aver riunito, insieme, tutti i segretari regionali. Perché si possono e si debbono valorizzare le azioni e le caratteristiche locali, ma ricordando sempre che l’Italia è una, e sottolineo una, Repubblica Indivisibile».
L’altro nodo è la legge elettorale, il possibile ritorno al proporzionale.
«Sono per il maggioritario perché la legge elettorale deve avere l’obiettivo di dare un governo al Paese, non di fotografarlo. È impressionante vedere come nemmeno la buona esperienza di Comuni e Regioni (un tempo perennemente in crisi) possa essere di insegnamento».
Anche l’Europa, come l’Italia è a un bivio. I sovranisti hanno perso, ma questa Europa è in grado di fare una politica sociale e di non essere spettatrice nello scontro tra Usa e Cina?
«In Europa i segnali ci sono. La crisi economica sembra insegnare qualcosa alla Germania. Anche il seppur non ancora conclusivo dialogo fra Conte e Macron è un cambiamento e un elemento di speranza».
La risposta al bazooka di Draghi, però, non è stata incoraggiante.
«Certo, non è un cambiamento facile come si è visto dalla reazione dei banchieri tedeschi a una politica monetaria diretta ad aiutare la ripresa. Tuttavia, i movimenti nella politica tedesca ci sono».
Sembra ottimista, Professore. Sull’Europa, e soprattutto sull’Italia.
«Speranza più che ottimismo. Perché l’evasione fiscale è drammatica e va affrontata con ogni mezzo, sapendo che vi sono momenti in cui una sola decisione condiziona tutte le altre e rende concreto il significato della parola futuro».
Come ha vissuto questa vorticosa estate?
«Siamo andati in vacanza avendo bruciato il passaporto, e forse anche la carta d’identità. Adesso abbiamo di nuovo in tasca il biglietto dell’EuroRail, per viaggiare in tutta Europa. Ci resta ora da costruire treni ad alta velocità e ferrovie migliori».
Leave A Reply