Peppe Provenzano è alla Svimez, nell’ufficio che occupava prima di diventare ministro per il Sud nel Conte due. Quando era nella segreteria del Pd e aveva rinunciato all’incarico da vicedirettore per dedicarsi liberamente alla politica. Al partito. La finestra è aperta. In fondo, si intravedono gli alberi altissimi di Villa Borghese. Parla per la prima volta da quando è caduto il governo giallo-rosso. Lo fa, dice senza enfasi, «perché è in gioco la stessa esistenza del Pd».
Nicola Zingaretti si è dimesso denunciando una lotta per le “poltrone” di cui si vergogna. Cosa pensa di un’accusa così forte?
«Capisco l’amarezza del segretario e gli esprimo solidarietà. Ma voglio dire che il Pd è molto meglio di com’è apparso in questi giorni. C’è una comunità democratica che merita un sussulto di dignità e responsabilità. Basta con l’ipocrisia degli appelli unanimi, ma tardivi, al ripensamento. La verità è che dopo questo gesto non si può far finta di nulla, tornare a come eravamo».
Lei è stato tra i primi a chiedergli di restare. Perché?
«Perché solo due anni fa alle primarie oltre un milione e mezzo di persone hanno chiesto al Pd di cambiare radicalmente, con Zingaretti. Nel frattempo ci sono state le elezioni, due governi, la pandemia e la crisi. Non è stato possibile farlo. Sono stati commessi errori, anche, ma quel mandato ora è ancora più attuale».
Quindi che si fa?
«Serve un segretario, non un traghettatore. Non possiamo vivacchiare mentre tutto il mondo cambia in attesa di un congresso che non sappiamo quando arriverà. Io spero che l’Assemblea rinnovi il mandato a Nicola e che lui sia disponibile. Altrimenti servirà un uomo o una donna che rinnovi quell’impegno e lo porti avanti con coraggio, determinazione, libertà. Dobbiamo cambiare tutto e dobbiamo farlo ora».
Come si fa a cambiare tutto?
«Certo non parlando solo di leadership. In 13 anni il Pd ha cambiato 7 segretari e, di questi, oggi solo 2 ne fanno parte. C’è qualcosa di malato in noi e ha a che fare con la mancanza di identità. Che è la ragione per cui un cittadino si riconosce in te e ti vota. Diciamoci la verità, oggi siamo percepiti come un partito di potere, anzi, siamo un partito di eletti. Certo, fatto di persone mediamente serie, affidabili, di esperienza, ma di fronte alla sofferenza di milioni di persone, alle ansie di futuro, alle sfide enormi dell’innovazione digitale, della transizione ecologica, questo rischia di essere un po’ poco. Non si può stare al governo “whatever it takes”».
È stato un errore dire sì a Draghi?
«No, è stato giusto rispondere all’appello di Mattarella. Dobbiamo però chiarire che si tratta di una formula eccezionale per una fase eccezionale. Con la Lega rispondiamo a un appello comune alla responsabilità, ma restiamo avversari. Abbiamo parlato molto di quel che pensa Salvini dell’Europa, io mi preoccupo ancora di quel che pensa dell’Italia. Vedo molta voglia di una grande coalizione permanente, anche nel Pd. Ma sarebbe la morte del Pd. Oltre a far torto al mandato di Draghi».
Quindi che rapporto deve avere il Pd con questo governo?
«Dovremmo vivere questa fase con più libertà. Esserci in piena lealtà, ma facendo le nostre battaglie. Così si ricostruisce l’identità, non con i discorsi astratti sul riformismo».
Quali sono le battaglie?
«Il lavoro, prima di tutto. Su cui con Orlando possiamo far avanzare le nostre proposte. Le scuole aperte, la sanità pubblica. Una riforma fiscale davvero progressica. E sull’Europa, a Draghi dobbiamo chiedere di impegnare tutta la sua credibilità per non tornare a quel patto di stabilità che era incompatibile con lo sviluppo. E per restare all’attualità, serve una grande battaglia sui brevetti per la produzione dei vaccini. Questa è la sfida che riguarda nei prossimi anni la vita di milioni di persone».
La guerra interna di cui parla Zingaretti era fatta per permettere di scalare il partito a Bonaccini? Con l’aiuto di sindaci come Gori ?
«Ho fatto il ministro della Coesione territoriale, ho collaborato con i sindaci. Ma per uscire dal “partito Ztl”, forse dovremmo ascoltare soprattutto i territori in cui non siamo, le aree interne, le periferie. E a proposito di scalate, il problema non è chi guida il gruppo, ma dove andiamo e se pedaliamo nella stessa direzione».
In un partito democratico a scegliere la rotta è il segretario. La questione del chi è ineludibile.
«Affrontiamola.Tutte le scelte compiute sono state assunte all’unanimità dal Pd, ma è partita una discussione surreale sulla sua guida. Sono certo di una cosa: il Pd non può tornare a essere quello del 2018».
Crede ci sia un pezzo di partito che lavora per far tornare Renzi?
«Liberiamoci dal fantasma di Renzi anche perché Italia Viva, che è responsabile di aver riportato la Lega al governo, mi pare guardi a destra. Ma ho fatto un fioretto: non parlerò di Renzi finché non avrà chiarito i rapporti con l’Arabia Saudita. Fare come un leader, non come Marzullo».
Crede che l’intesa tra Pd e 5 stelle vada messa in discussione?
«Quella strategia ha abbattuto il muro di ostilità che circondava il Pd, lo isolava e lo rendeva perdente. E con la guida di Conte ha portato il M5S nell’alveo del centrosinistra, a patto ovviamente che l’ex premier smetta di rivendicare “il populismo sano del primo governo”. Le alleanze sono necessarie, ma ora la priorità, anzi l’urgenza, siamo noi».
Cosa dovete fare?
«Credere in noi stessi: una sinistra aperta, ma anche orgogliosa. Che non deleghi niente a nessuno».
Di aprirvi parlate da oltre dieci anni, ma non accade mai. Perché?
«Abbiamo bisogno di una rivoluzione organizzativa. Oggi vince chi è in grado di mettere in rete comunità anche con sensibilità diverse. Penso a Biden che tiene insieme Sanders e Nancy Pelosi, Ocasio Cortez e Hillary Clinton. Il problema non sono le correnti, le aree diverse, ma il fatto che spesso siano prive di politica. Senza ideali e senza legami sociali».
Come si cambia?
«Riconoscendo che abbiamo un serio problema di classe dirigente. C’è un patrimonio di intelligenze, spesso giovani, nel mondo della cultura, del lavoro, del terzo settore, della nuova impresa, che un partito progressista dovrebbe coinvolgere. Cosa gli offriamo? Un giorno di gazebo e per il resto vita di corrente? In questi anni siamo rimasti sempre di meno. Faccio un appello. La casa è da ricostruire. Tornate a dare una mano».
Chi deve tornare?
«Certo non quelli che hanno distrutto la casa, ma dobbiamo superare quello che Freud avrebbe definito il “narcisismo delle piccole differenze”. Non vedo una sola ragione per cui Roberto Speranza, Elly Schlein, Rossella Muroni, oggi non siano del PD. Ma penso anche a intellettuali come Carofiglio, a realtà del mondo cattolico come Sant’Egidio, a un uomo come Beppe Sala, oggi non iscritto. Soprattutto, ci sono uomini e donne che in ogni campo si organizzano, affermano concretamente un’idea di giustizia. La sfida è essere riconoscibili, netti sui principi, suscitare passioni».
Vocazione maggioritaria?
«Se vocazione maggioritaria è inseguire i moderati come in passato, dico auguri. Se invece è rispondere ai bisogni, ai desideri della maggioranza degli italiani, perché rinunciarci? Perché lasciare gli operai alla Lega, le giovani partite Iva a Calenda, i bisognosi ai 5 stelle? Gli innovatori digitali e sociali a un vuoto di rappresentanza? La sinistra nasce per occuparsi dei molti, non dei pochi».
Annalisa Cuzzocrea, la Repubblica, 6 marzo 2021
8 Comments
Caro Sergio, gli Dei, si sa , accecano coloro che vogliono perdere: non solo i pagani, ma anche i cristiani ne erano convinti, e sostituirono gli Dei con Dio, segno che la Storia non si è mai smentita!
Questo ragazzo, l’On. Provenzano, mi scuserà, ma mi stupisce sempre di più!
Il guaio è che la gran parte del nostro gruppo dirigente ormai ragiona come lui: faccio l’analisi, la diagnosi, ergo ho indicato la terapia ed abbiamo risolto. Non posso crederci!
Sono sue le parole: «forse dovremmo ascoltare soprattutto i territori in cui non siamo, le aree interne, le periferie. E a proposito di scalate, il problema non è chi guida il gruppo, ma dove andiamo e se pedaliamo nella stessa direzione».
Ma era lui che doveva farlo; a scuola abbiamo imparato che in questi casi si diceva de te fabula narratur!!
Il fu Ministro ha forse dimenticato che delle aree interne [ sempre più interne!] si dicevano le stesse cose anche prima del suo mandato: , più che disegnare le magnifiche sorti e progressive farebbe meglio a chiedersi cosa è stato fatto per renderle meno interne durante la sua azione di governo; realizzato la rete digitale veloce? ripristinato o potenziato i servizi essenziali quasi assenti nei piccoli paesi ( ridisegnato reti scolastiche, attivato aziende in crisi, oppure aperti uffici postali, sportelli bancomat, sedi INPS? niente di tutto ciò!
E soprattutto, con chi si è confrontato? con chi ha visitato i luoghi, chi ha ascoltato?
Bastava che da ministro per il Sud individuasse, tra le 25 Province meridionali ( Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia e Campania), due opere bloccate e le portasse a compimento ed avrebbe lasciato davvero un segno, di cui ora nessuno ha tracce: vogliamo provare a chiedere in giro se qualcuno lo rimpiange???
Tu hai fiducia in lui, lo so: è un giovane intellettuale, si è misurato con le grandi questioni ataviche del Sud.
Però poi non è sufficiente farsi domande del tipo «C’è un patrimonio di intelligenze, spesso giovani, nel mondo della cultura, del lavoro, del terzo settore, della nuova impresa, che un partito progressista dovrebbe coinvolgere. Cosa gli offriamo? » dette dall’opposizione ancora si capirebbero le ragioni retoriche, ma da uomo di Governo è preferibile tacere!
Venendo alla fase politica e a Zingaretti: mi dispiace dirlo ma si è davvero fuori strada!
Zingaretti ha detto che ” erano tutti per Conte, mi sono girato e non c’era più nessuno!”
Questa frase, voce dal sen fuggita, è la vera spiegazione non solo delle dimissioni bensì della vera inadeguatezza di Zingaretti – e dei suoi più convinti sostenitori – a rappresentare le istanze di un Partito con reali ambizioni riformistiche adeguate ai bisogni sempre meno sostenibili dell’Italia, a partire dal ritorno in Patria dei cervelli in fuga ( neppure una legge per assumere i precari della ricerca e adeguare i loro salari!).
Il mio non è un giudizio etico-morale né la valutazione di un comportamento attinente alla tattica politica momentanea: io semplicemente sono preoccupato perché nel grosso dei dirigenti del PD c’è un reale rimpianto del governo Conte 2; fatto eclatante e veramente inafferrabile dai più, tanto più che Draghi, l’anti populista ed anti sovranista per eccellenza, avrebbe dovuto auspicarlo il PD!
Ora sta accadendo che la destra non solo sostiene in silenzio Draghi, ma di fatto gli ha ceduto sovranità – sia quella berlusconiana, la più furba, che quella leghista, basti pensare al ruolo nazionale di Giorgetti – mentre la sinistra o quel che si credono di essere il PD ed i 5 Stelle si muovono come Orfeo ed Euridice nell’Ade e prima o poi faranno saltare il governo, proprio perché guardano indietro mentre vanno avanti !
Zingaretti ha rappresentato questa visione politica, indifferente a tutto – Conte1 – e a tutti, la sua base elettorale residua!
Finale annunciato: il PD sta ancora elaborando il lutto, e recrimina sulla fine di Conte, sostenendo Draghi per necessità e non per virtù; non discutiamo nei circoli; non apriamo alla società reale; stiamo alimentando odio nei confronti di Italia Viva, per affossare Renzi, e contemporaneamente non diamo il via libera a Calenda a Roma e Bassolino a Napoli; la destra vincerà alla grande le politiche del 2023 ed anche le Regioni – Toscana ed Emilia comprese – passeranno alla destra!
Ditemi che sono in un incubo, ma non sarà facile svegliarmi, perché il titolo del film in cui mi sono infilato è Cronaca di una morte politica annunciata!
Scusami ma è quello che penso, purtroppo
Gerardo Vespucci
Caro Gerardo,
giorni fa ho scritto che il centrosinistra si sta dimostrando “unfit to lead Italy”, come diceva l’Economist di Berlusconi nel 2001, e che, di questo passo, “dopo Draghi, il diluvio!”.
Ho menzionato il suicidio dei laburisti inglesi dopo Blair e della sinistra francese, entrambi condannati all’irrilevanza.
Non voglio fare il catastrofista, ma a me pare che non ci sia la sensibilità politica adeguata per capire la delicatezza del momento e l’esigenza di uno sforzo eccezionale di progettualità.
Il fatto è che il PD si sta comportando come un fanciullo a cui abbiano sottratto il giocattolo col quale si stava divertendo: c’è un misto di delusione, di rabbia, di senso di avere subito un’ingiustizia e non ci si rende conto che quella che manca invece è l’iniziativa politica.
Si continua a blaterare di ipotetici ritorni tra la gente, sui territori, e non ci si rende conto che il Paese ha bisogno non di essere consolato e blandito, ma di essere reso efficiente, funzionante, di essere liberato dai vincoli della burocrazia, dal vecchiume delle procedure e dalle incrostazioni corporative.
Chi ha il coraggio di affrontare a viso aperto questa sfida, senza star lì ad incolpare il “destino cinico e baro” oppure la perfidia e la spregiudicatezza di Matteo Renzi, che almeno lasciare un segno ci prova sempre?
Hanno capito che il riformismo è una roba che si pratica tutti i giorni, e che non serve parlarne solamente?
Il rapporto complicato con i 5stelle è diventato un alibi per giustificare l’immobilismo.
Al Paese serve concretezza e questo è il momento per far valere le capacità politiche, se ci sono.
Altrimenti quando Draghi avrà esaurito il suo compito, riprenderemo il solito tran tran, ci ritireremo in un angolo a sognare magnifiche rifondazioni della sinistra, mentre il Paese scivolerà nell’oblio dell’Europa. Altri saranno protagonisti. Qui, se proprio va bene, ci verranno in vacanza.
Con buona pace dell’ex-ministro Provenzano e delle sempre profonde riflessioni di Gianni Cuperlo.
Caro Ernesto, vedo che siamo in assoluta consonanza!
Noi non ci conosciamo, anche se ad occhio dovresti essere di gran lunga più giovane di me: dunque storie diverse, occasioni diverse, momenti diversi, eppure ci siamo incontrati!
Solo per dirne una, io mi sono formato durante tutto il dopoterremoto dell’Irpinia, dal 1980 ad oggi [Sergio Staino venne da noi nel mese di settembre 1982 e da allora ci ha sempre fatto visita], svolgendo il ruolo di segretario del PCI-PDS dal 1982 al 1995, allorquando sono diventato vicesindaco del mio paesino Sant’Andrea di Conza.
Questo piccolo centro è stato per anni un paese culturalmente e politicamente vivacissimo, anche perché aveva avuto dal 1970 al 1980, per ben 10 anni, giunte di sinistra PCI-PSI-Indipendenti nella democristianissima Irpinia dei Sullo, De Mita, Bianco, Mancino, Gargani e De Vito, e che veniva appellato dalla Federazione l’Istituto Gramsci, perché c’erano 100 iscritti con la metà studenti e laureati, e l’altra metà artigiani della pietra e contadini.
Sono stato uomo di scuola per 40 anni ( 1981-2020) prima come insegnante e poi come DS per 13 anni, mi sono iscritto al PD dal 2007.
Bene, ti ho riassunto, in estrema sintesi, la mia biografia politica per dire perché mi riconosco pienamente nelle tue parole: “[…] il riformismo è una roba che si pratica tutti i giorni, e che non serve parlarne solamente”!
Quando ho scritto ieri sera, sapevo di ferire Sergio, e credo che avrà poco gradito anche il tuo intervento, ma, per dirla con Roger Garaudy a proposito dell’URSS, “tacere non è più possibile”.
Sergio, credo, vuole a tutti i costi salvare il meglio della nostra storia e, sebbene fortemente critico della realtà del nostro Partito, sostenuto dalla sua grandissima vena autocritica ed autoironica, resta per molti versi un “continuista”, come del resto siamo stati la gran parte finora, e si affida agli ultimi tra i migliori giovani.
In realtà mi sono convinto, dopo le dure repliche della Storia, che per vivificare gli ideali della sinistra, che trovano non solo ragioni etiche e morali, ma anche una logica spiegazione, che bisogna buttare il cuore oltre l’ostacolo, come romanticamente diciamo, ma farlo per davvero!
Sono convinto che con o senza il PD, i valori di cui siamo portatori si impongono da sé, specie se si applica alla specie uomo ed all’intera natura un approccio veramente scientifico: la collaborazione, che è alla base della fratellanza da cui l’uguaglianza e la libertà, è insita nel nostro essere biologico, infatti noi acquistiamo identità solo nel rapporto con l’altro, ed abbiamo creato la civiltà che da millenni ci caratterizza proprio grazie all’accumulo lamarkiano dei nostri singoli sforzi.
Ciò detto, però, nessun determinismo può portare le nostre idee ad imporsi: solo una grande capacità di analisi collettiva, seria, approfondita, scientifica, può dare all’organizzazione la capacità di agire, che rimane il senso del nostro essere, homo sapiens, homo faber!
Ed allora, bisogna prendere atto che dire “il mondo è cambiato profondamente” implica una discontinuità nella nostra rappresentazione di esso!
Non è possibile essere consapevoli di ciò e pensare che le nostre “cartine geografiche” possano ancora essere utili a descriverlo, e a muoverci nel mondo!
Ed allora, ecco: se abbiamo una nuova realtà si impone una nuova rappresentazione!
Ma la cartografia ci insegna che una cartina dice tanto di più quanto meno rappresenta: è una proprietà insuperabile!!
Conclusione politica di questa premessa metodologica: il PD si è illuso di rappresentare bene la realtà italiana guardandola da un centro, da Roma, cadendo nell’illusione di coglierne l’insieme dei problemi, senza poter conoscere in dettaglio le esigenze vere dei territori.
Il gruppo dirigente – a differenza dei grandi Partiti del ‘900 – è caduto dal 2007 nella trappola della “romanità”, anche quando a dirigere sono stati Bersani – emiliano romagnolo – e Renzi -toscano.
il “buco nero” di Roma ha allevato i D’Alema, i Bettini, ed ora Zingaretti.
Se ne può uscire? Si, ad un patto: che si cambi non tanto i cartografi, ma l’intera cartografia, decisione che presuppone una vera discontinuità evoluzionistica; una sorta di genesi di un nuovo partito, mediante un processo che i biologi chiamano equilibrio punteggiato.
In soldoni: la mia proposta è organizzare il PD come partito federato di tre Partiti, uno del Nord, uno del Centro ed uno del Sud.
Non vedo alternative: in tal modo i gruppi dirigenti saranno in grado di produrre nuove cartine, più aggiornate e veritiere; per la sintesi decisionale ci sono tanti modi, non escluso un Triumvirato, del resto, il passato può tanto ucciderci, quanto illuminarci!
Inutile dire: per il Nuovo Atlante geografico necessita un moderno intellettuale collettivo, tanta gente, tanta intelligenza e la fine dell’autoreferenzialità del potere!
Un abbraccio a te e a Sergio
Gerardo Vespucci
Prima la buona creanza!
Completiamo le presentazioni: io sono un abruzzese che a diciotto anni è arrivato a Torino per fare il Politecnico e che a Torino si è fermato per cinquant’anni e più, fino ad oggi (salvo una parentesi bresciana di otto anni).
Ingegnere, ho fatto il dirigente industriale prima in una nota casa automobilistica torinese e poi presso un’associazione industriale. Ora, da pensionato, ho più tempo per la politica e per esprimere come posso le mie idee e le mie riflessioni.
Liberalsocialista anche quando il termine era improponibile (in realtà ho militato davvero per un paio d’an-ni nel PLI malagodiano, prima di venirne espulso, era il ’69, per connivenza col movimento studentesco …), ho frequentato il PCI negli anni Settanta, prima come simpatizzante, poi come iscritto dal ’78 al ’83, quando il ripiegamento berlingueriano mi risultò definitivamente indigesto.
Da allora prevalse il lavoro, ma salutai l’Ulivo come una liberazione di energie e, dopo il suo triste fallimento, attesi la nascita del PD come una purtroppo tardiva epifania.
Inutile dire che ho molto sofferto le traversie veltroniane, ho confidato in una rinascita con Renzi, ho vissuto come una catastrofe le assurde divisioni interne sul referendum del 2016 (l’ho spesso paragonato al referendum del ’48, ma questa volta con esito nefasto …), fino a decidere di aderire ad Italia Viva.
E adesso sono qui, a cercare come tanti una rotta possibile, in un mare sempre più in tempesta.
Credo che dovremo ancora una volta esercitare l’arte della pazienza, perché grande è la confusione nel nostro campo. Soluzioni facili non ce ne sono: servirebbe un mostruoso sforzo di maturità da parte di una classe dirigente che, anche volendo, non può essere spazzata via, ma che con tutta evidenza non riesce a trovare il bandolo della matassa.
Ma può dimostrare maturità una classe dirigente che ancora vuole chiedere scusa per quattro anni di ottimo governo del PD e che ancora considera prioritario “derenzizzare” il Partito? Cosa mai hanno capito di quanto è successo da allora? Cosa si propongono di ottenere? Farsi fagocitare da Conte e Grillo?
È sempre esistito un populismo di sinistra come pure un giustizialismo di sinistra, ma compito del Partito era temperare, mirare più in alto, favorire l’emancipazione da concetti così “terra-terra”. Ora invece c’è chi li considera una stella polare.
Non so se dividere il Partito “in partes tres” sia la soluzione: il rischio è quello di approfondire ulteriormente divisioni storiche e favorire cattive pratiche. Ma comunque urge parlarsi chiaro; urge darsi una connotazione legata a progetti concreti e non solo al mantenimento del potere; urge anche difenderlo il potere, ma rilanciando, scommettendo sul futuro, anche scommettendo su chi è davvero vicino ai territori ed alla gente. Chi ha preso voti veri, diretti alla persona, come i Sindaci e i Presidenti di Regione, quella mi pare la parte più viva e promettente.
Lo stesso farà Italia Viva, e così spero anche gli altri gruppi dell’area, senza disdegnare contributi a priori, ma sempre attenti alla sostanza, ai contenuti.
Certo che, se non facciamo quelle riforme essenziali adesso che abbiamo coinvolto Draghi, l’italiano più autorevole sulla piazza globale, quando mai riusciremo a farle?
Ricambio l’abbraccio.
Caro Ernesto, mi scuso per lo strano abbaglio che ho preso sulla tua età: meglio così, ci si comprende meglio.
Brevemente: hai scomodato Cesare del De Bello gallico, allora, visto che ci siamo, credo sia opportuno rilanciare la mia proposta, ricordando che dal passato ci viene in soccorso l’idea dei triumvirati, che nel primo vedeva appunto: Cesare, Crasso e Pompeo!
Intanto vedo che l’unica proposta per uscire dalla difficoltà sia un richiamo in servizio di Enrico Letta!
Paradossalmente l’ho detto ad un amico a bordo piscina almeno tre giorni prima!!
Ma al di là di ogni considerazione, credo che se sarà Letta ad avere il compito di traghettare il PD, possa individuare qualche novità indiscutibile e sappia inserire elementi di discontinuità tanto reali da essere visibili: la mia ipotesi potrebbe fare al caso!
Ma fin qui siamo alla ingegneria politica, se allarghiamo lo sguardo e ci proiettiamo nel tempo e nello spazio, la mia ipotesi coglie ben altri elementi, molto più seri ed inquietanti!
Per fare punto qui, mi limito a copiare dall’ultimo numero di Jacobin ( n.10, primavera 2021, pag.129) un giudizio di un politico di primo piano americano, Chris Maisano: “Credo che stiamo andando verso una secessione. Vedo sempre più gente chiedersi:<> […] Non ci può essere una coesistenza pacifica tra due visioni della vita, due idee di governo, due teorie sulla gestione degli affari completamente differenti. Non possiamo restare in un conflitto così acceso senza perdere qualcosa lungo la strada”.
Questo commento si può meglio comprendere se si pensa che è stato espresso a pochi giorni dalle ultime lezioni americane, mai così divisive! Poi, certo, l’Italia non è gli USA, ma fino a quando la nostra democrazia potrà reggere agli scossoni che tutti i virus populistici introdotti hanno determinato in termini di egoismi individualistici e fine del bonum commune communitatis?
Stranamente , è saltata la frase chiave del giudizio politico!
Per fare punto qui, mi limito a copiare dall’ultimo numero di Jacobin ( n.10, primavera 2021, pag.129) un giudizio di un politico di primo piano americano, Chris Maisano: “Credo che stiamo andando verso una secessione. Vedo sempre più gente chiedersi:<> […] Non ci può essere una coesistenza pacifica tra due visioni della vita, due idee di governo, due teorie sulla gestione degli affari completamente differenti. Non possiamo restare in un conflitto così acceso senza perdere qualcosa lungo la strada”.
Per fare punto qui, mi limito a copiare dall’ultimo numero di Jacobin ( n.10, primavera 2021, pag.129) un giudizio di un politico di primo piano americano, Chris Maisano: “Credo che stiamo andando verso una secessione. Vedo sempre più gente chiedersi: Cosa ho da spartire io con un cittadino, poniamo, di New York? […] Non ci può essere una coesistenza pacifica tra due visioni della vita, due idee di governo, due teorie sulla gestione degli affari completamente differenti. Non possiamo restare in un conflitto così acceso senza perdere qualcosa lungo la strada”.
Caro Gerardo,
mi permetto di consigliarti (non solo a te, ovviamente, ma anche a tutti i seguaci del blog) un articolo di E. Galli della Loggia sul Corriere di oggi 13 marzo a proposito del rapporto periferia-centro nei Partiti al giorno d’oggi.
Mi paiono riflessioni degne di considerazione ed approfondimento, che ci riportano inevitabilmente al nodo cruciale dello sciagurato referendum del dicembre 2016 (quello dove vinse la parte sbagliata … la monarchia).
Stammi bene.