Rino Formica, ha vinto Macron, tutti tiriamo un sospiro di sollievo, però. C’è un però grosso come una casa. Il voto alla Le Pen segnala un malessere profondo, o no?
Certo, c’è un “però”. Prima tuttavia c’è da chiarire perché tutta l’Europa e buona parte del mondo sono stati in trepida attesa di questi risultati. Si giocava solo l’elezione del presidente di un paese importante dell’Europa? No, era in gioco la tenuta democratica francese ed europea: una vittoria della Le Pen avrebbe rappresentato una scossa nel processo di evoluzione dell’Europa.
Veniamo al “però”.
Rispetto al passato ballottaggio tra Macron e Le Pen, uno arretra di otto punti, l’altra avanza di otto punti. Scende chi rappresenta la tutela democratica, incrementa chi mette in discussione gli equilibri democratici dell’Europa. Questo vuol dire che nello schieramento di sostegno di Macron in questi cinque anni si è notato un arretramento delle posizioni originarie, in termini di rinnovamento delle classi dirigenti, di spirito democratico, di superamento delle incrostazioni partitiche. E c’è stato un reale spostamento a destra sulla questione sociale.
Sintetizzo: Le Pen non paga pegno su Putin, in termini ideologici e politici, ma intercetta il malessere anche derivante dalle conseguenze del conflitto, peltro dopo due anni di Covid.
Certo, non è un fenomeno nuovo, ma la sua dimensione è rilevante: lo spostamento di una parte dell’elettorato della sinistra storica francese, su una sensibilità sociale in versione populistica. Tutto questo ha spostato masse popolari della sinistra verso la destra e ha indebolito il punto forte costitutivo della sinistra che è la forza della rappresentanza democratica del paese.
Vede un filo che lega le elezioni francesi a quelle slovene, dove ha vinto il progressista Robert Golob, con un movimento solo nato un anno fa?
Certo, lì ha vinto questo movimento di liberazione contro la dottrina Orban della democrazia illiberale impersonato dal premier uscente. Ha vinto la democrazia contro un governo e un presidente del partito popolare, in versione Orban. Il che vuol dire, ecco il fil rouge, che le tre grandi culture e tradizioni storiche che hanno costruito lo spirito europeo e la democrazia del dopoguerra – liberale, cattolico democratico, socialista democratica – sono in crisi perché è in crisi la democrazia. O meglio: perché è stata considerata dai partiti di queste tre tradizioni come un valore negoziabile, dopo la caduta del muro di Berlino.
Intende che c’è stata una separazione tra difesa formale della democrazia separata dalle condizioni materiali, che poi fu il capolavoro del compromesso socialdemocratico?
Sì, le grandi tradizioni culturali democratiche partono da un presupposto: un principio della democrazia è non negoziabile. Il socialismo è più in crisi perché ha degli altri valori forti non negoziabili: la libertà, la giustizia sociale, la pace, non come pacifismo dei salotti e delle sacrestie, ma come lotta alla guerra. La pace non è una enunciazione dell’anima bella che si contrappone all’anima cattiva. La pace deve essere il prodotto di una lotta alla soluzione armata dei conflitti che le società moderne fanno esplodere.
Che giudizio dà del discorso di Macron? Ci vede questa consapevolezza o prevale lo spirito da scampato pericolo?
In Francia questa prese di coscienza è stata rinviata. Il discorso di Macron è significativo in tal senso. Ha annunciato una rottura di continuità, per intenderci: lo spostamento a destra. Ma come avverrà questa rottura non lo ha spiegato. Lui è nato come una forza che aveva come obiettivo la distruzione della solida centralità del partito socialista. Ci è riuscito, ma stava per precipitare nel disordine la Francia e l’Europa. Adesso si apre la questione socialista in Francia e a livello europeo.
La questione socialista. Va di moda sintetizzarla nel bisogno di protezione sociale.
La questione socialista è la felice combinazione tra una visione utopistica e la concretezza della realtà. L’utopia ha i suoi principi fondamentali non negoziabili, la realtà nei suoi processi di avanzamento è negoziabile. La combinazione sta nel realizzare nel mutamento delle condizioni di vita in questo innesto tra utopia e realtà. È un disegno di emancipazione, che è qualcosa di più e di diverso dalla protezione.
La campana francese suona anche per noi, aggravata dallo specifico della crisi italiana. È così?
Suona per tutta l’Europa e per tutto il socialismo: come far scattare una scintilla che riconcili le masse con la democrazia, i principi col popolo. La ricerca del luogo è semplice. È laddove più è avvenuta forte la frattura visibile tra principi fondativi e realtà: la guerra. Io proporrei questa scintilla: perché nessun partito socialista ha aperto la sua sede a Kiev? È lì, in quel punto che nasce lo scontro delle contraddizioni tra principi fondamentali abbandonati e contaminazione nella gestione mediatoria degli interessi. Intessi materiali sì, ma devono essere portati avanti da una forza politica anticipatrice nella sua vita interna di quella società che vuole creare.
Oggi è 25 aprile. Che effetto le fa questo dibattito tutto italiano e così paradossale per cui sulla Resistenza si è divisa la sinistra?
Domando: l’Anpi perché non è andata a far sventolare la sua bandiera della pace a Kiev? Come non vedere che la lotta per la pace deve avere come conseguenza che a Kiev dovrà nascere l’internazionale socialista dei popoli? Questa è la battaglia, che mette coi piedi per terra la discussione sulle armi, sulla la pace, sull’Europa. Battaglia che non si fa con le mozioni congressuali, ma con azioni concrete.
È stupito da questo chiacchiericcio politicante dell’Anpi? Armi sì, armi no, polemiche sulla Nato.
Fino a un certo punto: l’Anpi di oggi è costituita dagli estimatori dai partigiani, non dai partigiani veri, e infatti Liliana Segre e Carlo Smuraglia non hanno avuto ambiguità sul sostegno alla lotta di liberazione in Ucraina. Oggi siamo di fronte a una associazione che non ha più un valore di testimone diretto, ma di centro di riflessione. E un centro di riflessione dovrebbe avere più cautela nei giudizi politici, se vuole evitare l’effetto “seduta spiritica”.
Dicevamo l’Italia e la lezione francese. Quanto è rassicurante quel dato per il populismo, che incrocia la crisi economica in atto?
Il populismo sarà una forza sempre presente nel sistema politico come un mostro incombete se non c’è un riscatto democratico forte. Che non è questa discussione su campi larghi, stretti, vecchi riti. Qui il campo largo è talmente confuso che vede insieme forze populiste e forze anti-populiste. Non capisco come sia possibile conciliare la presenza nel fronte progressista dei Cinque stelle, che esprimono due tendenze: l’opportunismo trasformistico di attaccare il carro dove vuole il potere, in versione Di Maio, e intransigenza miope di conte, che sulla Francia non si è pronunciato sullo scontro. Mai vista una affermazione più idiota della sua nella sua disinvoltura populista.
E allora dove è il terreno del riscatto?
Sta nel far emergere forze politiche transazionali sulla partita che si sta giocando in Ucraina., intesa come combinazione di libertà e tutela sociale. E sta nel fissare, in relazione alla crisi italiana, un principio di igiene politica e democratica. Si stabilisca una pregiudiziale.
Quale?
I partiti dovrebbero andare dal capo dello Stato, cioè da colui che ha potere di scioglimento per un giuramento solenne. Deve dichiarare solennemente che se c’è una divaricazione tra programma sul quale si ottengono i voti e comportamenti, se cioè, come avvenuto nell’ultimo decennio i comportamenti sono in contraddizione coi i programmi, si torna a votare. È l’unica. Se si vuole difendere la democrazia bisogna aver fiducia in essa. Vadano a fare il giuramento.
Alessandro de Angelis, Huffigtonpost.it 25 aprile 2022
3 Comments
Formica dimostra tutti gli anni che ha.
A me pare evidente che il socialismo, l’internazionale socialista dei popoli, non bastano più, non sono sufficienti a comprendere e risolvere la complessità dei cambiamenti in atto.
In realtà non sono mai bastati, anche se a lungo hanno offerto un appoggio ideale alle lotte per l’emancipazione dei popoli.
Oggi bisogna lottare contro la disinformazione di molti media e dei social, contro il diffondersi di illusioni autoritarie, vendute come scorciatoie verso il benessere e la tranquillità sociale, per una società dove le responsabilità individuali siano integrate con quelle sociali.
Serve uno sforzo creativo inedito. I venti milioni di voti presi da Macron sono di persone che non si lasciano incantare dalle sirene dl populismo. Sono tanti, e a loro bisogna dare fiducia, non bisogna tradirli nelle aspettative di sviluppo e benessere.
Scordiamoci pretese di unanimismo. Gli altri arriveranno, man mano che capiranno che quella è l’unica strada percorribile.
Ogni altra strada porta alla negazione della libertà e della miseria, materiale ed intellettuale.
… ed alla miseria …
Concordo con Ernesto sul suo giudizio a proposito dell’intervista dell’ex dirigente socialista, Rino Formica, da Sergio postata su questo suo blog . Preciso inoltre che un uomo di una certa età, come l’ex ministro socialista suddetto, che dopo essere stato uno dei principali dirigenti del Partito Socialista italiano, visto la fine che ha fatto lo stesso, non ha molto credito in generale e meno che meno per fare proposte per il futuro.
Comunque per me è evidente che il popolo, anzi tutti i popoli della terra, se non sono guidati dalla democrazia rappresentativa, l’unico algoritmo politico che garantisce pace, libertà di pensiero e soledarieta’, fino ad ora esistente, si rivolgono a Dio o ad un dittatore per realizzare i loro sogni sulla giustizia sociale. Buona giornata a chi legge. Antonio De Matteo Milano