Rossobruni
Mi sto chiedendo da qualche tempo come sia possibile che tante persone di sinistra si siano fatte irretire da Putin e facciano quei discorsi da Santoro. Quando, come dice
quello, è fin troppo chiaro che l’Ucraina è il Vietnam della Russia. E quando è per lo meno paradossale che queste persone che da anni si riempiono di discorsi sull’antifascismo, quando incontrano un fascista vero come Putin, non lo riconoscono.
Però, in fondo non è difficile trovare le tracce di una possibile spiegazione, e sono tracce che portano indietro nel tempo e mettono in discussione tante cose e tante convinzioni, e come sia difficile trovare un equilibro fra utopia, giustizia, futuro.
Ricordo ancora tratti del discorso che feci in sezione ad Alberone, nel 1991, al momento della nascita del PDS e dello scioglimento del PCI. Favorevole alla svolta, dissi più o meno che la mia speranza, la mia idea, restava il comunismo, che l’insegnamento di Marx restava essenziale. E che tuttavia, qui ed ora, non mi poteva interessare un futuro remoto e l’ideale di una società comunista, ma mi interessava molto di più dare in concreto un buon futuro e una vita migliore a mio figlio appena nato.
Tentavo, insomma, di tenere assieme l’ideale e un pragmatico riformismo, che è sempre stato e restato il mio faro.
Quando mio nonno tornò dal viaggio premio in Unione Sovietica, negli anni sessanta, come iscritto al PCI dal 1921, disse che, da quel ne aveva visto nelle
aziende agricole che aveva potuto visitare, la “non ce la potevano fare”. Aveva evidentemente intuito, lui che conosceva bene la terra e le tecniche agricole moderne, che li qualcosa non funzionava e non poteva funzionare. Probabilmente mancava l’essenziale: la motivazione dei lavoratori.
In un certo senso, il nonno aveva previsto la caduta del muro e il crollo dell’URSS, anche se si era guardato bene dal mettere in discussione la sua fede nel PCI e nel comunismo. E certo il nonno non poteva sapere cosa avesse combinato Stalin in Ucraina negli anni trenta, come avesse provocato una orribile carestia scegliendo una folle collettivizzazione forzata delle aziende agricole.
E nemmeno io, del resto, di questa orribile strage non sapevo nulla, come credo praticamente tutti quelli che in Italia hanno studiato anche abbastanza bene la nostra storia convenzionale.
Quel che è successo fra la prima e la fine della seconda guerra mondiale in quelle che Snyder chiama le Terre di sangue, del resto, è un gran buco nero di conoscenza e, credo, non sia affatto un caso che lo sia.
C’è un solo elemento, in quella storia, che è raccontato anche nella storia corrente, perché non può essere nascosto, ma è raccontato in modo distorto e di comodo: il patto di non belligeranza fra Hitler e Stalin, e la conseguente spartizione della Polonia ed espansione territoriale dei due imperi.
Quel patto, infatti nel mio ricordo di studente, è come messo tra parentesi, un evento quasi casuale e comunque poco rilevante, in fondo, se confrontato agli eventi successivi, all’aggressione all’URSS e alla grande guerra patriottica. Come se il “dopo” assolva quel che è stato fatto prima. E come se la grande alleanza contro il fascismo e il nazismo bastasse a non doversi chiedere il perché profondo di quello “strano” accordo. Perché solo se lo si considera strano lo si può giustificare. Come racconta mia madre, quando si discuteva dell’accordo, fra i comunisti italiani ci si diceva che “Stalin doveva avere le sue ragioni”, fidandosi a scatola chiusa.
Viceversa, quel patto non solo è stato causa diretta di sofferenze, massacri e ingiustizie, ma probabilmente ha reso più facile per Hitler scatenare, progressivamente, la guerra.
In una stanza della mia casa di Montemonaco è appeso il poster di Juri Gagarin che era allegato a un vecchio numero di Vie Nuove. Sono cresciuto, come tanti, con il mito dei cosmonauti, e ricordo bene le discussioni infantili, alle elementari, con il mio amichetto di allora, lui filo americano, io che difendevo la superiorità dell’URSS.
Quanti sono in qualche modo cresciuti in quel mito come me, come nel film “Cosmonauta”?
Su Rinascita, alla fine degli anni settanta, uscirono tre lunghi articoli di Pierangelo Garegnani sulla realtà dello sfruttamento, che sarebbero poi stati raccolti in volume e completati in due fondamentali saggi di quel grande tentativo di sintesi, basato sul lavoro di Sraffa, fra l’analisi marxista-la teoria del plusvalore- e la teoria della domanda effettiva di Keynes.
Quel keynesismo di sinistra è restato a lungo il mio faro per la mia interpretazione del mondo, irrorato più tardi dall’impatto dell’ecologia sullo studio dell’economia.
Eppure, a pensarci bene, perfino questa interpretazione di sinistra di Keynes era considerata, a quei tempi, quasi una sorta di revisionismo. Ricordo come, nel mondo comunista da cui provenivo, ci fosse ben poca sopportazione verso Keynes, considerato nient’altro che un liberale, un difensore nei fatti del capitalismo. E certo la sintesi neoclassica di Keynes, la lettura di Hicks con le celebri curve LS-LM, non aiutava a capire quanto, invece, la teoria della domanda effettiva fosse rivoluzionaria. Insomma, molti avevano un’idea di comunismo e di come funzionava l’economia davvero manicheo.
Passati pochi anni da quei libri di Garegnani, quel modo di vedere l’economia e i meccanismi del capitalismo e dello sfruttamento, era restato patrimonio di poche persone nelle università italiane, sommerso e sconfitto dal consenso neo keynsiano, o meglio ancora direttamente da una visione matematizzante dell’economia politica, del tutto funzionale a interpretazioni attente soprattutto al controllo del debito pubblico e a dimostrare che la spesa pubblica spiazza l’investimento privato.
Ma chi era cresciuto con l’idea di fondo che il capitalismo fosse il male, la quintessenza dell’ ingiustizia e dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, chi magari riteneva troppo di destra perfino la versione che di Keynes dava Garegnani, poteva facilmente accettare questa prevalenza del pragmatismo, del realismo che diceva che la realtà, l’unica realtà possibile, era quella di una buona gestione del modello esistente? Ahimè per loro: l’evidenza del progressivo fallimento del modello sovietico, in quegli anni, era ben chiara a
chiunque non volesse negare i fatti. E altrettanto evidenti erano i successi e il fascino del modello occidentale.
Tuttavia, in molti non poteva che restare una insoddisfazione di base: dove erano finiti i sogni di palingenesi? E l’evidente, perdurante ingiustizia del sistema, le diseguaglianze, le povertà, erano li apposta per alimentare questa insoddisfazione.
Che ve ne sembra dell’America? E’ il titolo di un romanzo non indimenticabile di un immigrato armeno in America che ho letto in gioventù. La mia America, come penso quella di molti di sinistra della mia generazione, era una contraddizione totale. Vivendo a occidente, assorbiti dalla grande egemonia culturale esercitata dai media USA, ero affascinato dalla cultura americana, dai romanzi di Hemingway come dalla musica della west coast, dal nuovo cinema degli anni settanta. The Last Picture Show di Bogdanovich è il mio film di culto.
Nello stesso tempo, rifiutavo l’America come potenza imperiale e, in fondo perfino dopo la grande frattura dell’invasione della Cecoslovacchia, continuavo a sperare in qualche modo nella virtù del blocco sovietico. Almeno nella virtù a offrire un modello alternativo e costringere quegli altri a tenerne conto.
Poi, la guerra del Vietnam e più tardi il golpe cileno sono stati più che sufficienti a convincerci e rafforzarci nel nostro profondo antiamericanismo. Ancora negli anni ottanta, le lotte contro i missili a Comiso sono frutto di un pacifismo che oggi diremmo a senso unico. E paradossalmente è proprio quella l’unica volta in cui sono stato fermato a una manifestazione
(È banale, ma non posso evitare anch’io di osservare come gli attuali sostenitori della pace a tutti i costi con Putin, dico quelli di sinistra, erano difensori strenui del diritto del Vietnam di fare la guerra di resistenza e chiedevano agli USA di ritirarsi, non a Ho Chi Min di arrendersi per evitare massacri).
Però, quel che non vedevamo allora in quella contraddizione fra fascino ed odio per gli Stati Uniti, e che vedo ora, è che il fascino derivava dal fatto che quella per tanti versi orrenda, feroce, imperialista nazione, era anche il luogo più libero, più aperto, più orientato al futuro, e dove soprattutto chiunque poteva parlare e protestare e lottare. Il movimento contro la guerra del Vietnam era anche negli USA, soprattutto negli USA. In Urss, nessuno poteva azzardarsi di manifestare contro l ‘invasione della Cecoslovacchia e, del resto, il precipitoso rientro in Italia di mio padre e mia madre dalla Crimea in quell’agosto del 1968, e i racconti sulle difficoltà e sulle mezze frasi pronunciate da loro interprete, dicono molto di più di qualche lungo saggio.
Allora, in fondo io posso perfino un pochino — solo un pochino – capirli i nostri rosso bruni di oggi, quelli come Santoro e Moni Ovadia ecc. Non riescono proprio a staccarsi dal loro profondo, radicato e anche ben motivato antiamericanismo. Non riescono a concepire che i duri fatti dimostrano che la libertà occidentale, stracolma di ingiustizia e ineguaglianze, è pur sempre meglio dell’orrore della dittatura — peraltro ancora più ingiusta e creatrice di diseguaglianze. Perché hanno costruito la propria coscienza — esattamente come ho fatto io per molti versi — su quella profonda convinzione che il male e il bene fossero ben e chiaramente distribuiti, e che il male stesse a occidente, il bene a oriente.
Ed è difficile staccarsi da certe convinzioni profonde.
E purtroppo, le loro convinzioni sono anche fondate su una cattiva conoscenza della storia, quella che li porta a dare una importanza esagerata agli orrori ed errori di una parte — il battaglione Azov, i nazisti ucraini, Bandera -, a confondere una rivoluzione europeista come Euromaidan con un colpo di stato.
E che, per contro, li porta ad ignorare non solo il tragico significato del patto Hitler Stalin, ma soprattutto l’orrore dell’Holodomor del 1932–33, una carestia decisa da Stalin anche per piegare I ‘Ucraina, per molti versi un colossale orrendo furto di grano che rimanda — purtroppo — a quel che sembra voler fare oggi Putin.
Non sono molto ottimista, temo che l’insieme degli interessi, della paura di perdere il gas e gli affari, degli egoismi, per non dire delle quinte colonne trumpiane filorusse, unti alle incomprensioni dei nostri pacifisti ben intenzionati ma profondamente miopi, porti ad assicurare qualche vittoria, magari parziale ma vittoria, del pericoloso dittatore.
Eppure, voglio sperare che come altre dittature, alla fine, sono state sconfitte, anche questa lo sia. Per il bene dei russi, anche.
Corrado Truffi, https://ctruffi.medium.com/rossobruni-d76ebb0ba8b1
3 Comments
Bell’intervento compagno Truffi. Se il livello di discussione al nostro congresso sarà questo abbiamo buone speranza di iniziare a capire.
Chi ancora non capisce la vera natura dispotica e fascista del regime putiniano e si ammanta di discorsi generici sulla pace non può essere in buona fede.
In realtà è talmente obnubilato dal ricordo romantico del comunismo sovietico da non capire quanto esso sia sempre stato affine al fascismo.
Bene fa Truffi a ricordare il patto Molotov-Von Ribbentrop, che rivelava la natura imperiale ed oppressiva dei due regimi totalitari.
Siamo ancora lì. E qualsiasi cedimento può rivelarsi letale per le nostre fragili democrazie.
Comprensibile il “tormento”, come lo chiama Renzo Piano, provocato dall’attuale situazione, ma è un tormento inevitabile se vogliamo difendere le nostre conquiste di libertà.
E poi il nostro tormento è nulla in confronto a quello che stanno sopportando gli ucraini invasi …
Chi ha detto che non si soffre per ottenere la pace?
Soffriamo noi, soffrono loro (molto di più), e soffriremo fino a quando il regime putiniano non abbasserà la cresta.
Ci sono spigoli duri nella Storia che vanno smussati, con l’intelligenza, certo, ma, se non basta, anche con la forza.
Una malattia va combattuta fino alla guarigione.
Il mio appello per la pace rivolto al prossimo Capo del Governo Italiano.
Gentile on. Giorgia Meloni capa del prossimo governo italiano,
lei fra qualche giorno giurera’ fedeltà alla nostra costituzione Repubblicana ed antifascista e dovrà fare eseguire le leggi come prevede la stessa che è la massima legge dello stato Italiano. Quindi dovrà vigilare e reprimere tutti coloro che inneggieranno al fascismo considerandolo un’opinione ed invece commettono un reato secondo la nostra carta costituzionale.
Lo farà?
Rassicuri gli italiani/e e ci dica che anche per lei la democrazia rappresentativa attuale, per quanto imperfetta e migliorabile è sempre meglio delle dittature comuniste e fasciste. Io e lei abbiamo idee diverse, su come gestire la nostra comunità, ma se crediamo convinti e motivati nell’attuale democrazia rappresentativa possiamo stringerci la mano mettendo da parte quello odio e quella violenza che negli anni passati ci ha contrapposti. Io sono un vecchio di 73 anni ed ho smesso di tifare per il comunismo lei giovane farà altrettanto con il fascismo?
Io spero di sì.
Vorrei vivere quel poco che mi resta della mia vita in un mondo più libero, più giusto e più solidale rispettando le idee altrui. Poi se il popolo italiano sceglierà lei per governare, come è successo o gli ex comunisti come è già accaduto vorrà dire che i miei sogni e quelli di tanti altri continueranno a realizzarsi positivamente.
Basta con il comunismo ed il fascismo/nazismo ?
Per me si e per lei on. Meloni?.
Dica di sì anche lei e non mi costringa a ritornare alle armi ed all’odio per difendere l’attuale democrazia rappresentativa.
Buona lavoro on Meloni in questo periodo di grande sofferenza per i popoli del nostro pianeta. Serena giornata a chi legge Antonio De Matteo Milano