Cari amici,
in questi ultimi giorni mi sono visto il docufilm SanPa diretto da Cosima Spender e prodotto e distribuito da Netflix. Ne scrivo per consigliarvelo perché è un’opera estremamente interessante e, a mio avviso, istruttiva. E’ un esempio di obiettività e intelligenza il modo con cui si muove in un territorio fortemente minato e sempre con il pericolo del settarismo e del fanatismo dietro l’angolo. Assai meglio di me ve lo presenta questo scritto apparso su Strisciarossa di Onide Donati. Leggetevelo e poi andate a cercarvi il docu-film su Netflix.
Sergio
“M il figlio del secolo” non era solo Lui. Il Novecento ne ha avuto un altro. Tutti e due erano romagnoli e hanno fatto anche cose buone. L’Altro si chiamava Vincenzo Muccioli e di questo M ora si parla molto, 25 anni dopo la morte misteriosa, per via di un documentario colossal di Netflix.
“Sanpa luci e tenebre di San Patrignano” è il film del momento. In cinque puntate racconta la comunità per tossicodipendenti fondata da Muccioli nel 1978 su una collina a dieci chilometri da Rimini. La “docu-serie” è avvincente nonostante due ore d’esordio sottotono “alla democristiana”, tipo il panino dei servizi-pastone dei Tg Rai. Poi si entra, dalla terza alla quinta ora, in un crescendo narrativo ed emotivo.
Accurata la ricerca storica
È un’opera complessa, ben studiata ed ancor meglio realizzata con un’accurata ricerca di filmati d’epoca.
Quattro le “voci narranti” in scena per una ricucitura logica che guida lo spettatore in quasi tutti i meandri delle “tenebre” di San Patrignano: l’ottimo Luciano Nigro, corrispondente de l’Unità da Rimini a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta; Fabio Cantelli, volto pulito e colto divenuto, portavoce della comunita; il magnetico Walter Delogu, autista e guardia del corpo di Muccioli che ha rivelato importanti segreti (tutti?) di San Patrignano; il galantuomo d’altri tempi Vincenzo Andreucci, giudice istruttore pacato che ha sempre cercato d’offrire a San Patrignano una seconda opportunità nonostante abbia mandato Muccioli a giudizio due volte.
La Rai di Moratti e Netflix
Curioso l’imponente traino pubblicitario della Rai all’opera di Netflix sostenuta con una martellante pubblicità su ogni rete. Nella docu-serie, infatti, la Rai esce a pezzi. In azienda nessuno dev’essersi accorto che i finanziatori di San Patrignano sono dal primo giorno i coniugi Gian Marco (morto nel 2018) e Letizia Moratti e che quest’ultima è stata presidente della Rai tra il 1994 e il 1996, gli anni in cui San Patrignano usciva dalla crisi del delitto Maranzano e la comunità aveva bisogno di rifarsi una verginità.
“Non fu difficile”, ironizza nel film l’ex responsabile della comunicazione di Sanpa sulle immagini degli scialbi servizi ultra celebrativi di alcuni degli inviati della Rai morattiana.
Dunque, il film.
Si parte coi tappeti di siringhe della fine degli anni Settanta e i giovani strafatti, le famiglie disperate, le istituzioni impreparate, le risposte terapeutiche inesistenti. Ad un certo punto si vede comparire un omone ancora giovane (era del 1934) di 190 centimetri per 130 chili che dice: “Ci penso io”.ù
Botte e segregazione in cambio di disintossicazione
La filosofia dell’altro figlio del secolo non si discosta da quella del primo. Ovvero botte e segregazione, se necessario. Con molti tossici funziona. Così le famiglie affidano a San Patrignano i loro cari e poco importa se prima di diventare terapeuta fai-da-te Muccioli era stato un personaggio un po’ bizzarro (aveva collezionato un fallimento da 150 mila lire poi aveva raggruppato attorno ad un “cenacolo” un’umanità varia con la quale teneva sedute spiritiche al termine delle quali si mostrava con delle stigmate sanguinanti alle mani).
Nasce in sordina una sorta di repubblica sociale con una “costituzione” materiale da stato di eccezione, dove le regole tipiche del diritto sono sospese. Tra i disintossicati da Muccioli ci sono rampolli di famiglie importanti ma il fondatore, all’epoca, non fa differenza di censo e provenienza.
Dice solo che chi entra deve accettare le regole della comunità: una volta dentro non esci finché la terapia non termina, se ti ribelli la paghi, se scappi ti troviamo e verrai riportato sulla collina, devi lavorare in cambio di vitto alloggio e cure, non puoi fare sesso, hai diritto a 10 sigarette al giorno. Tutto a fin di bene.
Catene in piccionaia e nel canile
Le punizioni vengono comminate in piccionaia, nel canile, nella cassaforte. È in questi luoghi che la polizia a fine ottobre 1980 trova incatenati quattro ragazzi, in condizioni pietose. Sono maltrattamenti? È sequestro? Una maggioranza rumorosa, pur priva di social, si schiera con Muccioli.
Il caso San Patrignano è aperto, la comunità diventa il centro di ogni dibattito su legalità, diritti, stato di necessità. La magistratura inquirente viene massacrata, l’Aids massacra molti ospiti, inizia una inquietante sequela di suicidi classificati come inevitabili effetti collaterali di un metodo che funziona e convince anche tanti magistrati ad affidare a Muccioli i tossici altrimenti destinati al carcere.
La politica entra a gamba tesa e Craxi presidente del Consiglio offre una sponda importante a San Patrignano che aveva già dalla sua tutta la destra. Muccioli nel processo per le catene perde una prima volta in Tribunale nell’85 ma poi vince nell’87 in appello e nel 90 in Cassazione. E intanto San Patrignano cresce: da 100 ospiti si passa a 200 a 300, a mille, a tremila… Le vicende giudiziarie tengono la comunità sempre sotto i riflettori e fuori dai cancelli la fila è interminabile. Muccioli pare avere l’esclusiva mediatica della disintossicazione dalla droga con i suoi metodi.
San Patrignano cresce fino a 3.000 ospiti
Ma quel “dammi la tua libertà e ti libererò dalla dipendenza” funziona? A volte sì, il più delle volte sostituisce la dipendenza dell’eroina con la dipendenza dalla comunità, a volte fallisce. L’esclusiva mediatica oscura altre realtà che si consolidano e vedono Rimini pioniera nei metodi ortodossi e scientifici con le comunità della Papa Giovanni di don Benzi, la Cooperativa Centofiori, il Sert orientato verso la riduzione del danno col metadone…
Nella gigantesca San Patrignano Muccioli delega compiti delicati a energiche figure non sempre azzeccate, la sorveglianza si fa sofisticata fino al patologico, nascono i reparti, le attività imprenditoriali (cavalli, vini, cani, tessuti, pellicce, tipografia…) formano bilanci miliardari, Muccioli diventa un manager testimonial che gira per l’Europa a illustrare le sue guarigioni.
Circolano molti soldi, alla frontiera di Ventimiglia i doganieri francesci fermano una macchina di San Patrignano con 150 milioni per l’acquisto di un cavallo e arrestano Walter Delogu (padre della piccola Andrea, oggi star radiofonica e televisiva nonché autrice insieme ad Andrea Cedrola di un bel libro sulla comunità (La Collina, Fandango).
Il pestaggio e la morte di Roberto Maranzano
È in uno dei reparti, la macelleria, che nel maggio 1989 viene pestato fino alla morte Roberto Maranzano da Alfio Russo, personaggio violento e squilibrato messo a capo dei macellai. La vittima era un povero cristo padre di famiglia, non giovanissimo (36 anni), che fa la scelta di andare in comunità perché sa di avere un problema di eroina non più gestibile. Non era da affidare al girone dantesco dei macellai.
Viene trovato il 7 maggio 1989 in una discarica vicino a Napoli ma il caso deflagra alla fine del 1992 per il pentimento di un altro ospite della comunità che aveva assistito al pestaggio. Per San Patrignano è un colpo duro ma attutisce, con la sua potenza, le difficoltà. La potenza è soprattutto politica, con aspetti che sfiorano il comico: nelle elezioni del 1992 nel seggio interno il minuscolo Pli, il partito del ministro della Sanità De Lorenzo, porta a casa 662 voti, quasi il 70%.
Inizia il declino, Muccioli muore
Il delitto c’è stato e non si discute, il cadavere di Maranzano ha viaggiato su una macchina della comunità fino alla discarica per 600 chilometri, Muccioli tentenna ma conferma di averlo saputo a cose fatte e di avere taciuto per salvaguardare la comunità.
Una tesi che la giustizia prenderà ancora per buona attribuendo tutte le responsabilità a Russo (8 anni) e ad altri due macellai, senza peraltro che nessuno faccia un giorno di carcere. Lo stato di eccezione è ancora promosso. L’appello non si celebrerà perché il 19 settembre 1995 Muccioli muore, per Aids dicono voci insistenti.
L’uscita di scena del fondatore porterà ad una svolta “moderata” governata dai coniugi Moratti che insediano al comando il figlio di Muccioli, Andrea, estromesso poi nel 2011 dopo l’ennesimo bilancio in rosso. E mentre pretendono che il loro investimento stratosferico (260 milioni dalla fondazione ad oggi) venga incanalato in un corretto rapporto con le istituzioni, cercano di riportare la gestione ad una accettabile normalità con il calo degli ospiti e bilanci dai quali spariscono le stravaganze delle spese nei cavalli o nei cani.
Pian piano la comunità “fa pace”, o quasi, col mondo e diventa una delle risposte alla tossicodipendenza, non “la” risposta. In genere non reagisce più con veemenza alle critiche e anche con Netflix s’è solo timidamente sfogata: basta rimestare nel passato, oggi siamo diversi. Il secolo di M viene consegnato alla storia.
Comment
Grazie Sergio per questa pagina di storia.
Ricordo l’altra storia, anche se ero piccolo : quella delle mamme-coraggio a Napoli, che arrivarono negli anni ’80 a denunciare e far arrestare i propri figli per salvarli dal “fuori” in cui le loro vite erano ormai mangiate dalla droga. In un certo senso anche in quel caso l’amore sceglieva la “detenzione”, pur di salvare l’esistenza.
Storie enormemente complesse. Sono contento che se ne parli. Un abbraccio
Massimiliano