Il pezzo di Antonio De Matteo a cui Gerardo Vespucci, Antonio Mele e Ernesto Trotta si riferiscono si trova tra i commenti al post che trovate cliccando qui.
Caro Sergio,
ho apprezzato la decisione di avviare una discussione sul ruolo degli intellettuali, proponendo, nell’ultimo post, l’intervento che l’amico (compagno?) Antonio De Matteo, di Milano, ha proposto nel muovere alcune critiche “agli intellettuali che non capisco”: credo che il suo scritto, che ho letto con attenzione, sia opportuno, sebbene può apparire alquanto impetuoso il tono usato e che tu, opportunamente, hai stigmatizzato.
Prima di entrare in argomento, è bene dire che Antonio De Matteo, a mio avviso, è caduto in una tipica trappola logica, poiché per contestare l’attuale ruolo degli intellettuali “di fama”, mettendone in dubbio l’efficacia, ridotta a retorica, non propone altro che una bella analisi intellettualistica!
Ciò nonostante, caro Sergio, ti inviterei a non lasciar cadere la discussione, magari seppellendola con giudizi definitivi, per quanto giusti possano essere: anzi, colgo l’occasione di consigliare la lettura di un libro datato, La crisi della ragione – A cura di Aldo Gargani – G. Einaudi, 1979, con diversi saggi di intellettuali di fama, ma che considero ancora oggi, di forte attualità.
In particolare, mi piace segnalare il saggio di Vittorio Strada Interpretare e trasformare.
In esso l’autore capovolge l’XI tesi di Marx su Feuerbach e ricorda che se è vero che bisogna cambiare il mondo non limitandosi ad interpretarlo in vari modi, è ancora più urgente conoscere il “nuovo mondo”, per poterlo cambiare!
E questo, lo dico sommessamente a Antonio De Matteo, è esattamente il ruolo riservato agli intellettuali da sempre, ma per restare sul “nostro terreno” materialista ossia scientifico, in particolare da Gramsci, secondo cui non c’è attività umana da cui si possa escludere ogni intervento intellettuale. Non si può separare l’homo faber dall’homo sapiens perché, al di fuori della sua professione specifica, ognuno è a suo modo «un filosofo, un artista, un uomo di gusto, partecipa di una concezione del mondo, ha una consapevole linea di condotta morale, quindi contribuisce a sostenere o a modificare una concezione del mondo, cioè a suscitare nuovi modi di pensare» (Quaderni dal carcere)
Sempre nei Quaderni, mai troppo letti, Gramsci afferma: «Occorre distruggere il pregiudizio molto diffuso che la filosofia sia alcunché di molto difficile per il fatto che essa è l’attività intellettuale propria di una determinata categoria di scienziati specialisti o di filosofi professionali e sistematici. Occorre piuttosto dimostrare preliminarmente che tutti gli uomini sono “filosofi”, definendo i limiti e i caratteri di questa “filosofia spontanea”. Tutti sono filosofi, sia pure a modo loro, inconsapevolmente, perché anche solo nella minima manifestazione di una qualsiasi attività intellettuale, il “linguaggio”, è contenuta una determinata concezione del mondo».
Ed ancora: «Tutti gli uomini sono intellettuali, si potrebbe dire perciò; ma non tutti gli uomini hanno nella società la funzione di intellettuali (così, perché può capitare che ognuno in qualche momento si frigga due uova o si cucisca uno strappo della giacca, non si dirà che tutti sono cuochi e sarti).
Si formano così storicamente delle categorie specializzate per l’esercizio della funzione intellettuale, si formano in connessione con tutti i gruppi sociali ma specialmente in connessione coi gruppi sociali più importanti e subiscono elaborazioni più estese e complesse in connessione col gruppo sociale dominante».
Caro Sergio, e caro Antonio De Matteo, a questo punto è giusto chiedersi: a chi parlano questi intellettuali di professione?
Non è che a partire dal 1980 costoro si siano talmente separati dalla società, rifugiandosi in quella Torre d’avorio in auge nel Medievale, fino a toccare, essi, l’apogeo dell’individualismo?
Magari anche autocompiaciuti della propria superiorità/ oscurità, al punto che la dura requisitoria di Antonio De Matteo ne esca giustificata? : continuano dal loro pulpito a predicare indisturbati, e forse protetti dal Padreterno, teorie per il popolo incomprensibile e non traducibili in pratica.
La discussione andrebbe per le lunghe, e quindi, per andare alle conclusioni, riassumo il mio pensiero: fino agli anni ’80 gli intellettuali di sinistra erano in grado di comprendere la realtà ed indicare soluzioni di sintesi che erano maggioritarie nel paese, quindi egemoniche: le grandi battaglie di avanzata della civiltà, dallo Statuto dei Lavoratori, al Sistema Sanitario Nazionale, dalla Scuola Pubblica, al Divorzio ed all’Aborto (1981) furono, infatti, il risultato di queste idee collettive.
Dagli anni ’80 le ideologie dell’impegno non trovarono più intellettuali capaci di rappresentarle con argomenti propulsivi, complice anche la crisi delle grandi ideologie socialiste e comuniste.
La nascita delle televisioni libere, il craxismo [ che in teoria diceva di contrapporre Proudhon a Marx, ma in realtà mirava a colpire l’egemonia culturale del PCI] e l’ingresso di Berlusconi con le sue TV fecero il resto: piano piano, ad una generazione dell’impegno si sostituì una del disimpegno.
L’esaltazione di belle donne, la pubblicità spinta, una informazione ridotta a pettegolezzo, il cinema di cassetta comprato a poco prezzo dagli USA hanno minato l’intelletto ( caro Antonio!) degli italiani che oggi si scoprono privi di una cultura scientifica, [ mi dispiace, Antonio, ma la tecnica è un semplice prodotto di secondo piano della Scienza, che, invece, è cultura, processo intellettuale totale, ricca di sapere umanistico e che rimane estranea alla visione del mondo della metà ed oltre degli italiani!!).
Oggi, purtroppo, gli intellettuali ancora in auge, magari impegnati a loro modo, non riescono più a trovare il filo rosso della Storia, balbettano, un poco perché non è facile [ i problemi indicati, come quelli dell’immigrazione sono troppo grandi per una mente sola!], ma anche perché i grandi intellettuali italiani, ancora in circolazione, oscillano tra un sapere tecnico pratico di breve durata ed un sapere giuridico letterario, vacuo: manca la cultura con al centro la Scienza, ed è questo il vero problema del futuro, dalla cui soluzione verrà l’egemonia culturale, non solo in Italia, ma nell’intero Occidente dei prossimi anni!
Grazie, se siete arrivati fin qua!
Gerardo Vespucci
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Brutta bestia – sempre, e comunque – l’arroganza. Bruttissima (scusate la schiettezza) anche l’immagine di un “intellettuale” sui generis, che scredita gli intellettuali, fornendo talune motivazioni le quali, involontariamente o non, rasentano con evidente ostilità un qualunquistico per non dire irrispettoso ‘umorismo’ di genere. Vedi, per citarne una, la retorica quanto semplicistica confessione dell’Autore medesimo, che allega scuse «…per la mia poca conoscenza e spesso avversità nei confronti degli intellettuali». (“Excusatio non petita accusatio manifesta”… chioserebbero i Padri latini). E dunque, come fa, il signor Critico del Costume, a giudicare, sulla semplicistica base di un’auto-confessata ed esplicita “poca conoscenza”?!
Che ci siano intellettuali di “boriosa vanità” (analoga, forse, a quella in cui lo stesso anti-intellettuale sembrerebbe scivolare) nessuno può escluderlo; e tuttavia, l’intento di voler censurare indistintamente un’intera categoria, appare scarsamente sereno e deontologico.
Tanto più che il puntuto osservatore, con l’indice altezzosamente eretto, non sembra dare un’immagine di sé serenamente critica, propositiva, edificante.
La dialettica, il dibattito, il confronto o contrasto d’idee e di convinzioni dissimili/opposte è benefico sempre. Purché si svolga “ad armi pari”. Lealmente. Ragionevolmente. Costruttivamente. Con serietà, rispetto e beneficio per tutti.
Criticare e censurare “per partito preso o per luoghi comuni”, acquisendo e sostenendo convinzioni traballanti e incerte è, ovviamente, l’esatto controsenso della “buona ragione”.
Con serenità e amicizia.
Antonio Mele ‘Melanton’
L’egemonia della destra
C’è chi giustamente constata l’abissale pochezza culturale, politica, progettuale della destra (non solo quella italiana, ma qui parliamo della nostra …), in confronto alla pur decadente ma ancora intellegibile progettualità della sinistra.
Noi di sinistra ci lamentiamo, spesso e a ragione, della mancanza di respiro riformista, della carenza di coraggio nell’affrontare le evidenti necessità di cambiamento che si appalesano in quasi tutti i settori della società, della difficoltà a rapportarci con larghi strati della popolazione, ma dall’altra parte, a destra, il livello è terribilmente basso, imbarazzante, anche se camuffato sotto roboanti e vuote declamazioni di sovranismo e populismo, che però non contengono alcuna proposta concreta che non sia il solito “liberi tutti”, “ognuno per sé” e “vinca il più forte”.
Siamo giustamente spaventati da questa destra pericolosa, prepotente, presuntuosa, anarcoide, che alla prova dei fatti non riesce a produrre alcunché di positivo per le società che governa (i casi di Trump e Bolsonaro sono di palmare evidenza, ma anche qui non si scherza, se pensiamo ai guasti del recente governo gialloverde…), ma comunque ottiene credito e seguito tra i media, nei social, presso una buona parte della cittadinanza. Un’occhiata al governo della RAI aiuta a convincersi, ce ne fosse mai bisogno…
In parallelo, noi della sopravvissuta sinistra (o centrosinistra) non riusciamo a renderci credibili e neanche un po’ desiderabili presso un’opinione pubblica che pare disgustata da tutto e da tutti e preda di un galoppante qualunquismo.
Che diavolo succede?
Succede che oggi, in tutta evidenza, la destra ha instaurato un’egemonia culturale indiscutibile, un pensiero unico dominante e funzionale alla sua stessa esistenza, pur se improbabile e sgangherato, ma purtroppo concreto e reale.
Per tutta la seconda metà del secolo scorso si è spesso discusso dell’egemonia culturale della sinistra, che oggettivamente aveva pervaso le società occidentali anche dove non governava, mentre la destra si dimostrava del tutto incapace e disinteressata a costruire una sua parvenza di egemonia.
Intellettuali, maître a penser, opinionisti, coscientemente o meno, rifuggivano (forse superficialmente) dal pensiero reazionario e conservatore e accettavano di buon grado le analisi, le opere, le realizzazioni culturali di intellettuali che facevano riferimento alla sinistra. Televisioni (pre-berlusconiane, dopo cambiò tutto…), giornali più o meno schierati, industria cinematografica, mondo dell’arte, erano monopolizzati da intellettuali (spesso anche solo auto-dichiarati) di sinistra. La destra intanto governava il Paese, fregandosene bellamente, convinta che poteva lasciare all’opposizione il contentino di guidare un’élite più colta, ma in fin dei conti abbastanza ininfluente sulle scelte di fondo.
Con Berlusconi cambiò tutto: il Cavaliere si propose come paladino di quella destra, rispolverò il più frusto anticomunismo (anche senza comunisti, mediaticamente andava bene lo stesso…), sdoganò i missini, aggregò i separazionisti della Lega, tutto faceva brodo contro lo spauracchio, da lui inventato, del comunismo, che nel frattempo era pure sparito dalla Storia.
Cominciò un processo che non si è più fermato fino ad oggi, passato attraverso il movimento cinque stelle, la nuova Lega, i nuovi destrorsi smaccatamente postfascisti, processo che ha relegato in una soffitta ammuffita la vecchia e nostalgica cultura di sinistra anni Sessanta-Settanta ed ha aperto le porte al nuovo pensiero populista, neoliberista, individualista in senso deteriore, via via sempre più politicamente scorretto, sempre meno timoroso di essere un po’ razzista, un po’ volgare, un po’ trucido, … ma popolare.
La sto schematizzando per non risultare noioso, ché tanto è vita vissuta da tutti noi.
Ai giorni nostri nulla è più scorretto, nulla è impresentabile, tutto è stato sdoganato, e chi vorrebbe parlare di principi, di valori, di libertà, uguaglianza e solidarietà pare terribilmente fuori moda, vecchio, ammuffito, privo di smalto ed attrattività. I social hanno contribuito non poco, con il loro schematismo, il loro linguaggio approssimativo, violento, sarcastico, privo di ogni profondità e capita così che la povertà culturale, la rozzezza, la pochezza della destra sono diventate egemoni, relegando in un angolo una sinistra che non è stata capace di reggere l’urto, di ammodernarsi, di rendersi appetibile, “simpatica” in senso etimologico, di farsi capire ed apprezzare, insomma.
C’è poco da scherzare. Senza ristabilire questo contatto tra le cosiddette élite e il resto del mondo non si va da nessuna parte; si sopravvive, si campicchia, ma si resta sotto scacco. C’è urgente bisogno di gente nuova, di intellettuali nuovi, di linguaggi nuovi, di una nuova capacità di entrare in sintonia (“simpatia”) con il mondo.
Ristabilire un’egemonia richiede anche una buona dosa di modestia, di coraggio, di capacità di analisi degli errori compiuti. Richiede di saper proporre un cambiamento vero, un nuovo modello di rapporto sociale, richiede anche la capacità di liberarsi da ogni nostalgia, da ogni gretto attaccamento a privilegi, veri o presunti, e di accettare le sfide che il futuro ci mette davanti. Non è guardando indietro ad un presunto bel tempo che fu, che poi tanto bello non era, che riusciremo a riprendere la guida del progresso sociale. Bisogna guardare avanti senza paura, con spirito da pionieri, se vogliamo riagguantare la leadership.
Devono capirlo tutti a sinistra o giù di lì: partiti, sindacati, associazioni civiche, intellettuali, artisti, media manager, opinionisti. Essere di sinistra oggi vuol dire scommettere sul futuro, non sulla difesa di un passato che è passato per sempre.
In una molto sbeffeggiata, ma in realtà azzeccatissima, metafora di qualche anno fa, Matteo Renzi invitava a smetterla di cercare la fessura del gettone su un iPhone: invece qualcuno la sta ancora cercando, mentre qualcun altro però non è ancora riuscito a utilizzarlo a fondo, quell’iPhone.
Chi ci riuscirà avrà trovato la chiave per cambiare il mondo in senso progressista e di sinistra, altrimenti il mondo continuerà pure a cambiare, ma in peggio.
Ernesto Trotta
Torino
6 Comments
Cari amici,
non so se il Mes ,( Meccanismo europeo di stabilità), la cui riforma è stata approvata dal parlamento italiano ieri,
sia un argomento da intellettuali, ma mi piacerebbe conoscere il parere di questi ultimi. Io credo che sia una buona notizia tutto ciò che rafforza l’unione europea a scapito della sovranità degli Stati membri. So di non essere all’altezza degli intellettuali, ma questa volta spero di non ottenere, come loro risposte, L’indifferenza.
Serena giornata a tutti compreso gli intellettuali.
Antonio De Matteo Milano
Caro Antonio, facciamola breve e evitiamo le polemiche.
Mi pare utile che discutiamo su cosa debbano fare gli intellettuali oggi, piuttosto che riproporre un frusto antagonismo tra intellettuali e non.
Se vogliamo, tutti siamo intellettuali. Dobbiamo esserlo, se vogliamo davvero migliorare il mondo.
Lo diceva anche Gramsci, come giustamente ricorda Gerardo Vespucci.
Quanto al MES, è uno strumento dell’Europa e come tale va giudicato all’interno di un quadro europeo.
Se siamo federalisti (io almeno lo sono), lo accettiamo come tutti gli altri strumenti federali.
Spero che chi lo ha negoziato lo abbia fatto con coscienza e competenza.
Buona giornata
Ernesto Trotta
Torino
Caro Ernesto,
mi dispiace ma stavolta ti devo leggermente correggere, anzi contraddire. Scusami la insolenza, ma tu non sei un “intellettuale” così come non lo sono io e ti spiego perché
Il termine intellettuale deriva dal latino intellectualis, aggettivo che sta ad indicare quello che in filosofia riguarda l’intelletto nella sua attività teoretica e si caratterizza perciò come separato dalla sensibilità e dall’esperienza giudicata di grado conoscitiva inferiore. Questo è quello che dicevano, più o meno I nostri avi che parlavano in latino.
Ora io sono rimasto a questa definizione e faccio una separazione netta tra gli intellettuali che parlano “dell’anima”, “dello spirito “,di Ste cose astruse, mentre la scienza, che è una cosa concreta, manda avanti il mondo da secoli. Secondo me tra te e gli intellettuali, come Cuperlo, Maccaluso, il professore Guido Clemente, ed anche lo stesso grande Sergio Staino, la differenza è notevole. Loro si occupano dell’anima e tu ti occupi del corpo cercando di dargli una anima. Tu,come tutti gli ingegneri, alla domanda: “sa le ore ?“ sono sicuro rispondi: “sì”.
Gli intellettuali invece, secondo me, ti rispondono: “ascolta la tua anima e vedrai che non hai bisogno di conoscere le ore”. Intanto tu perdi il treno e ti “attacchi al tram”, come dicono a Milano.
La differenza tra intellettuale e scienza è talmente forte che Sergio ha rinunciato a costruire le case come architetto perché non sapeva dove cavolo mettere “l’anima.” Per assurdo se avesse fatto l’architetto è costruito una casa avrebbe trovato il posto all’anima: quella casa crollava e ci sarebbero state veramente solo le anime. Scusami Sergio: ho provato a giocare “all’intellettuale” anch’io, per accontentare il mio amico Ernesto, ma non credo di esserci riuscito in compenso spero di non averti fatto incazzare un’altra volta.
Un grande abbraccio a tutti e viva la democrazia, l’Unione Europea e la nostra bella Italia. Antonio De Matteo Milano
L’ algoritmo introvabile
Scrollarsi le pene di dosso..
Provarci sicuro che posso.
Vivere in pace prima del fosso.
Antonio. De Matteo MI
Da semplice cittadino pensionato, al signor Di Matteo vorrei dire che senza la filosofia, la storia, la matematica, la cultura, e cioè senza gli intellettuali ci ritroveremmo nel vuoto, un mondo senza società e forse anche senza tecnologia.
Io invece denoto una assenza di contributo da parte degli intellettuali, scarseggiano, e se ci sono si tengono alla larga.
Spaesati dalla mancanza di interlocutori (la politica, i partiti) si sono rinchiusi in un loro isolamento dorato, e come dargli torto se si trovano a vivere in un mondo dove lo slogan “uno vale uno” rappresenta il primo partito del Paese.
A te caro Sergio, senza nulla togliere ai soggetti nominati, vorrei dire che definire Saviano, Murgia, Sartori, ecc intellettuali, mi sembra che hai esagerato un po’.
Con stima
Ciro Rosiello
Molte cose condivisibili, senza dubbio, soprattutto per quanto riguarda l’analisi di ciò che è stato e com’è che ci troviamo in questa situazione. Belle parole riguardo al guardare al futuro, però non vedo nulla su cosa e come farlo.
Quindi il futuro rimane un obiettivo generico cui tendere, senza un particolare indirizzo?
Questa è la società che vorremmo avere? Ne possiamo immaginare una migliore?
Io credo di sì.