di Adriano Sofri, 2 luglio 2022
Sergeevka (Odessa), venerdì. Diciamola così. Il rozzo Funzionario addetto alle operazioni speciali, che ha soppiantato l’esausto dio della guerra, si alza tardi. E’ anziano e ha gli incubi. A quell’ora gli hanno preparato la lista delle pratiche sbrigate. E’ durante la notte infatti che le famiglie sono raccolte nelle loro case, c’è meno dispersione. Di giorno bisogna concentrarsi sui supermercati o altri luoghi così. Venerdì il mattinale del Funzionario riserva una posizione di riguardo al villaggio di Serhiivka, distretto di Bilhorod-Dnistrovs’kyj, oblast’ di Odessa. All’una di notte, minuto più minuto meno, tre missili – o quattro, c’è un’incertezza – hanno colpito e fatto esplodere un rettangolo grande quanto due o tre stadi di calcio, sventrato un condominio di otto piani, demolito due edifici dirimpettai separati da una modesta piscina, mandato in frantumi i vetri di case e negozi in un raggio di chilometri e scosso dalle radici i pensieri delle persone. A quel punto i morti erano venti, compresi tre bambini (si scrive per regolamento così nel mattinale, “compresi X bambini”) e alcune decine i feriti. I feriti non ricevono infatti grande attenzione, sono solo dei morti mancati.
Il Funzionario, invidioso com’è del Creatore, vede quello che ha fatto, che ha fatto fare, e se ne compiace, perché è molto cattivo. Non è facile alle persone ordinarie penetrare nella gratuità della sua cattiveria. Ogni giorno, le persone ordinarie raccolgono i cocci, congiungono le mani, e maledicono, o interrogano, che sono altri modi di pregare. Chiedono “Perché?” e “Come?” – perché fanno questo, come ha potuto fare questo – che sono solo in apparenza delle domande, e sanno di non avere risposta. Siccome gli umani non ce la fanno a sopportare troppo dolore o troppa offesa senza qualche risposta, ne escogitano una o due. Si riesce sempre. A Sergiivka però oggi sembrava che non ci riuscissero. Ho parlato con un certo numero di loro, una si chiamava Karina, una Oleksa, tre Sergij, o Serhi, nella grafia ucraina: tre che si chiamano Sergij a Sergiivka, potrebbe essere l’inizio di un racconto russo, o un racconto ucraino. Uno era il padre di Karina, anziano, malediceva con gli occhi rossi (Karina li aveva pieni di lacrime), diceva, un po’ a parole un po’ spalancando le braccia, perché io capissi bene, che la Russia ha un territorio colossale, COLOSSALE, e viene in questo puntino, in questo paesino di mare cui è stato sequestrato il mare, mette il suo dito colossale su un suo condominio slabbrato, su un suo centro di ricreazione, e dice: QUA. Un altro Sergij era un ciclista, giovane, di quelli che vengono in bicicletta e smontano a guardare le macerie e intanto telefonano a qualcuna che sanno loro raccontando le macerie che vedono. E’ diplomato in qualcosa tipo le scienze dell’amministrazione, abita all’altro capo del villaggio, sostiene che il centro di ricreazione cosiddetto era in realtà un hotel e che dentro c’erano molte persone, non perché ora la gente vada in hotel, ma perché erano sfollate da altre città dell’Ucraina, famiglie che non hanno più la loro casa. (E proprio su queste, QUA, il Funzionario ha messo il grosso dito). Ride, quando io, per favoreggiamento delle spiegazioni fasulle utili ad anestetizzare il dolore, gli suggerisco che forse si è trattato della rappresaglia dei russi per la cacciata da Zmiinyj, quella che chiamiamo Isola dei Serpenti: dopotutto da qui l’isola è a portata di tiro (in realtà è a quasi 90 km). Ride, non perché dubiti che il Funzionario e i suoi sgherri non ne siano capaci: semplicemente, gli pare troppo poco. Sentirsi vendicati da questa ventina di gente senza nome né parte (compresi i bambini)?
Ma c’è sempre l’ipotesi dell’errore, i missili finiti fuori bersaglio, dopotutto anche la cattiveria è umana, anzi soprattutto lei. Sergij ride di nuovo, e mi invita a fare un giro con lui. Ho già visitato le macerie, parlato con le signore che vendono la frutta e con gli agenti della Procura per i War Crimes, coi pompieri, e il mio compagno di viaggio deve ancora registrare interviste per i suoi committenti televisivi, ho tempo. Quello che vuole mostrarmi è che Serhiivka-Sergeevka, paesino che nelle estati di una volta diventava una spiaggia magnifica fitta di umani felici, non ha un solo deposito di armi, una sola baracchina militare, un solo soldato nemmeno, salvi quelli oggi convenuti. E’ come a Kremenchuk, senza nemmeno il lusso del supermercato.
Lo so, non cederemo. Non ci rassegneremo a riconoscere che fare strage di gente mai vista e mai immaginata, gente povera, povera gente (bambini compresi) è prima di tutto un atto di gratuità, come fare il bene quando si fa davvero il bene. Che il Funzionario ne vive. Guardate le foto di Sergeevka, le ho fatte anch’io, come sono uguali a quelle dei nostri terremoti. I sismologi, poveri anche loro, soffrono di non saperli ancora prevedere e di esserne perfino incolpati. E figuratevi se si possa rendere prevedibile la decisione di far piovere tre (o quattro, c’è un’esitazione) missili su un quartierino di Serhiivka, distretto di Belgorod-Dnistrovs’kyj (o Maurocastro), oblast’ di Odessa. Se si possa immaginare a che punto arrivi l’invidia del Funzionario per i terremoti, e la smania di emularli e surclassarli. Dopotutto, ha le tasche piene di bombe atomiche, di tutte le taglie. Subito dopo il Creatore viene lui, con il tentatore, il vecchio Pubblico ministero, che gli insinua all’orecchio la possibilità di chiudere, la partita, una volta per tutte, in pareggio.
Il Foglio
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