Per l’anagrafe, ha da poco compiuto 40 anni, la metà di quelli del suo autore. Ma le vite e i pensieri di Bobo e Sergio Staino continuano a fondersi in uno sguardo senza età, in grado di immortalare la parte più genuina e, tutto sommato, simpatica della sinistra italiana: quella che, nonostante tutto, continua a preferire l’impegno al disincanto, ostinandosi a praticare l’esercizio dell’autocritica. Un lungo tratto di strada, quello percorso insieme al suo personaggio, che Staino racconta in ” Quel signore di Scandicci”, appena uscito per Rizzoli Lizard: una raccolta di alcune fra le strisce più significative di Bobo pubblicate dal 1979 ad oggi, capaci di fotografare pagine storiche e politiche fra le più turbolente vissute dal Paese, e al tempo stesso di rivelare molto del mondo interiore di chi le ha disegnate.
Come sta oggi Bobo, alla luce della maturità di quarantenne e della situazione che stiamo vivendo?
«Devo dire che, pur in una dimensione generale assai grave, sia lui che il suo autore stanno abbastanza bene. Intorno a noi c’è una situazione umana, familiare, amichevole molto bella: stiamo raccogliendo una simpatia che probabilmente abbiamo seminato nel corso di tutti questi anni. Soffro di non avere il tempo, né la possibilità in questo periodo, di incontrare tutti gli amici che ci circondano.
E forse è proprio questo a spingermi a continuare a disegnare nonostante non ci veda quasi più, e a raccontare queste storie con uno spirito di fondo sostanzialmente gramsciano, tra pessimismo della ragione e ottimismo della volontà».
«Ma è anche, come ho voluto sottolineare nel titolo, un racconto di Scandicci. Volevo un libro che raccontasse, un po’ alla “Madame Bovary”, la sommessa ma importantissima funzione della provincia, quando è curata e vissuta in modo intelligente come quella in cui vivo. Mi meraviglio sempre di come il senso identitario di una comunità riesca a sopravvivere a una degenerazione mondiale che tende al cinismo, all’alienazione e alla ferocia. Il mio è sempre stato un lavoro che guarda alle classi subalterne dal punto di vista del potere, ma più vive da quello sociale e comunitario. Oggi il problema più grave in Europa è la distruzione del senso identitario della società di fronte all’avanzata del populismo: politicamente, odio le persone come Grillo che hanno sostituito la cattiveria e l’odio laddove si lavorava per l’aggregazione. Le case del popolo stanno morendo e mi domando come un governo di sinistra non trovi due soldi per salvarle».
La prefazione del suo libro è firmata da Dacia Maraini.
«A legarmi a lei è un’antica storia d’amore. Ricordo, da ragazzino, i pomeriggi alla Pergola: io e gli altri poveracci come me arrivavamo prestissimo, per contenderci i posti in loggione.
Dopo un po’, con calma, vedevamo arrivare le poggioline, che si sistemavano nelle barcacce vicino al palco: indossavano divise eleganti ed erano bellissime. Tra di loro c’era anche Dacia Maraini. Oggi io ho 80 anni, lei qualcuno in più. Ma li porta meglio di me, perché è ancora bellissima. Il fatto che abbia accettato di scrivere sul mio personaggio rende un po’ giustizia a quell’amore».
Gaia Rau, la Repubblica Firenze, 12 novembre 2020
Leave A Reply