Sul “Punto” del Corriere della Sera di stasera (26 maggio 2022) c’è questo articolo di Alessandro Trocino che tratta del tema del mio post di oggi.
Adriano Sofri
Sesso in carcere e alta sicurezza, l’alt di Gratteri e le ragioni per concedere l’affettività ai detenuti
di ALESSANDRO TROCINO
Tempo fa aveva definito la riforma della giustizia «la peggiore di tutte». Non sorprende, dunque, che ora Nicola Gratteri critichi il via libera del ministro della Giustizia Marta Cartabia e del suo collega dell’Economia Daniele Franco allo sblocco di 8,3 milioni di euro che serviranno per attuare la nuova legge sulle «relazioni affettive dei detenuti». Si tratta di una proposta arrivata in Senato, formulata dal Consiglio regionale della Toscana, con relatrice la senatrice dem Monica Cirinnà, componente della Commissione Giustizia e responsabile nazionale Diritti del Pd.
Quello dell’affettività dei detenuti, e del sesso, è un tema antico, se si pensa che in Italia se ne parla (ma la parola «parlarne» è eccessiva) dagli anni ’30. Ci sono state nove proposte di legge in materia di affettività e di sessualità per detenuti. Alcune calendarizzate, nessuna discussa in Aula. All’estero, il tema è già regolato da una legge in diversi Stati: Albania, Austria, Belgio, Croazia, Danimarca, Francia, Finlandia, Germania, Norvegia, Olanda, Spagna, Svezia, Svizzera.
L’idea di base è che la pena che si deve scontare in carcere sia solo la perdita della libertà. Nella relazione introduttiva della proposta di legge, sono riportate alcune parole di Adriano Sofri, prefazione al libro «Uomini come bestie. Il medico degli ultimi» di Francesco Ceraudo: «La nostra società, che ha finito di trattare il sesso nei giorni feriali, come un bicchiere di acqua sporca, continua a vergognarsene nelle feste comandate, allora preferisce parlare, piuttosto che di rapporti sessuali, di rapporti affettivi — affettività, parola profilattica — madri che possono abbracciare i figli, famiglie che possono incontrarsi fuori dagli occhi dei guardiani. In effetti, oggi non possono farlo. Ma poi c’è il sesso: la nuda possibilità che un uomo o una donna in gabbia incontri per fare l’amore una persona che lo desideri e consenta: sarebbe giusto? È perfino offensivo rispondere: certo che sì». E non potrebbe essere altrimenti, prosegue la relazione: «Basti pensare che il diritto all’affettività — di cui l’attività sessuale è “indispensabile completamento e piena manifestazione” — rappresenta “uno degli essenziali modi di espressione della persona umana […] che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l’articolo 2 della Costituzione impone di garantire” (Corte costituzionale, sentenza n. 561 del 1987)».
La proposta di legge dice, testualmente: «Particolare cura è altresì dedicata a coltivare i rapporti affettivi. A tal fine i detenuti e gli internati hanno diritto ad una visita al mese, della durata minima di sei ore e massima di ventiquattro ore, delle persone autorizzate ai colloqui. Le visite si svolgono in apposite unità abitative appositamente attrezzate all’interno degli istituti penitenziari senza controlli visivi e auditivi».
Sono quelle che mediaticamente vengono chiamate «le casette dell’amore», locuzione che potremmo definire «profilattica», insieme a Sofri, se non fosse anche lievemente ipocrita. Sulla questione, naturalmente, si può legittimamente consentire o discordare. È giusto che i detenuti abbiano una loro affettività, anche ma non solo nella forma sessuale? Gratteri, si diceva, ritiene che non sia giusto. Anzi, che sia «pericoloso».
Il procuratore capo di Catanzaro è impegnato da mesi in un enorme maxiprocesso (Rinascita-Scott) contro la ‘ndrangheta. Di recente è stato raggiunto da molte minacce e ha confessato di sentirsi solo: «Ho paura, cerco di addomesticarla e di ragionare con la morte. Ma vado avanti, non c’è alternativa. Se mi fermo mi sento un vigliacco».
La sua battaglia coraggiosa lo porta in contrasto spesso con la politica. Con esternazioni che piacciono molto ai cosiddetti «giustizialisti» e, in particolare, a Marco Travaglio. E che dispiacciono alla destra. Basti leggere come lo tratta Libero, che lo definisce «toga prezzemolina», stigmatizza il suo «tour per presentare un libro» e usa parole che delegittimano pericolosamente un magistrato in prima linea, arrivando a minimizzare, se non ridicolizzare l’allarme sulla sua sicurezza: «“Agli occhi della ‘ndrangheta e della mafia sono diventato un perdente”, dice Gratteri. Come a dire: sarà più facile farmi fuori. Sarà per questo che gira con cinque gipponi blindati: anche se non esiste più quella mafia militarizzata che ammazza i magistrati. Andrebbe spiegato anche a Nino Di Matteo, che a sua volta si è rifatto a certe vecchie sconfitte di Giovanni Falcone al Csm (fine degli anni ottanta) e ha detto che, respingendo la candidatura di Gratteri, il Csm ha dato un segnale alla mafia. Che non c’è più, come detto: semmai è una criminalità organizzata transregionale».
Ma dando per scontata una solidarietà incondizionata a Gratteri nella sua lotta contro la ‘ndrangheta, non si può non notare la sua intransigenza totale su alcuni temi garantisti, anche su iniziative come quella della legge sull’affettività. A Otto e Mezzo ha spiegato: «Forse non lo sapete ma questo governo, tre giorni fa, ha trovato 28.6 milioni di euro per costruire le case dell’amore nelle carceri dove si consentirà ai detenuti ad alta sicurezza di incontrare la moglie, la fidanzata o l’amante per 24 ore al mese. Immaginate in quelle 24 ore quanti messaggi si possono mandare all’esterno».
Una risposta a Gratteri arriva proprio da Sofri, sul Foglio, che ribadisce il sostegno incondizionato sulla guerra alle mafie, ma critica le sue parole sulle «case dell’amore»: «L’Alta Sicurezza, che è un “circuito” carcerario (con tre sotto-circuiti) regolato solo da circolari e largamente arbitrario e inerte, non è il 41 bis, la cui principale ratio dichiarata è di impedire le comunicazioni fra i boss e le organizzazioni di provenienza. I detenuti in “Alta Sicurezza”, che sono infatti molti, quasi diecimila, non hanno, salvi casi specifici fissati dalle autorità competenti, i magistrati o il Dap, restrizioni alle comunicazioni tali da dover contare sul giorno mensile nella “casa dell’amore” (il casino, correggono quelli di cui sopra) per mandare messaggi all’esterno. Chiederei, al linguaggio franco di cui lei si vale, di rinunciare a un argomento che infierisce su una vera mutilazione corporale delle persone detenute – la galera è infatti ancora una, compiaciuta o distratta, punizione corporale – e che carezza lungo il pelo la paura per la sicurezza e il disappunto per l’umanità: “Ci hanno pure la televisione, e vogliono pure scopare!».
Sofri indica i circuiti dell’Alta sicurezza, citati da Gratteri, distinguendoli dal 41 bis. Nella prima categoria rientrano persone condannate per associazione mafiosa, associazione in materia di stupefacenti e sequestro di persona a scopo d’estorsione. Persone che sono generalmente riconosciute con un livello di pericolosità più alto dei detenuti comuni, per i quali c’è un regime più stretto, senza però vietare comunicazioni con l’esterno, videochiamate e corrispondenza. Come avviene, invece, per i detenuti sottoposti al regime del 41 bis.
Corriere della Sera, 26 maggio 2022
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