Era tanta, ma così tanta, la voglia dei cittadini di vedere il Pd all’opposizione che alla fine il desiderio s’è avverato. Con la diretta partecipazione dello stesso Pd che ha inteso, forse, autopunirsi per la propria inconsistenza politica, per gli errori commessi a ripetizione e per essersi allontanato dall’elettorato popolare che per decenni aveva votato a sinistra. Quattrocento voti di differenza sanciscono l’uscita di Bruno Valentini da Palazzo pubblico, dopo una sola legislatura, e l’ingresso dell’avvocato Luigi De Mossi, che da subito abiterà quelle stanze nel quali sono dipinte le magiche immagini del Buongoverno del Lorenzetti.
Era nell’aria questo ribaltamento e non poteva che finire così. Con caparbia persistenza, infatti, da anni le tante anime del Pd cittadino – cioè le correnti – sono state in lotta per rosicchiare quel poco di consenso rimasto. Hanno tirato fuori, di mese in mese, le più svariate candidature, tutte alternative a quella del sindaco uscente il quale, non fidandosi, si è dotato anche di una propria lista. Dopo la fusione a freddo della nascita del Pd, ignoranti della storia del movimento operaio e bramosi di rottamare quel che gli capitava tra le mani, hanno prima cancellato le sezioni storiche, arrivando a smantellare la festa dell’Unità. Hanno anticipato, così, la chiusura della storica testata fondata da Antonio Gramsci.
Tacendo sui disastri del Monte, e sulla crisi che ha colpito l’intero tessuto istituzionale e economico cittadino, abbiamo lasciato – e le responsabilità sono di tutta la sinistra senese – che altri occupassero il terreno che un tempo era appartenuto proprio alla sinistra: quello della questione morale. Una sana autocritica e un’attenta riflessione doveva essere fatta. Non è stata fatta. E’ stata, anzi, scansata così che quel che ora succede è anche il risultato di quella incapacità di riflettere su se stessi. “Cos’altro deve succedere perché il Pd e la sinistra prendano atto che è tempo di rifondare tutto? Che riti, miti e ricette di ieri non servono a capire dove piegano sentimenti e bisogni di milioni di persone?” si è chiesto Gianni Cuperlo nel commentare l’ultima sconfitta. Parafrasandolo, viene da chiedere ai dirigenti del Pd senese e regionale: cos’altro doveva succedere a Siena perché il Pd e la sinistra capissero che la loro stagione poteva tramontare e che i senesi potevano volgere ad altro lo sguardo? Oggi, come ieri, i dirigenti locali e regionali non trarranno conclusioni su questo disastroso risultato elettorale, limitandosi ad affermare che anche qui soffia, ormai, un vento di destra e che Siena è rimasta come incantata dalle visite del capo leghista. Bella scoperta. O che gli elettori non hanno capito. Un’inutile nenia.
Così come è stato inutile l’estremo tentativo di salvare il salvabile attivando un’altra fusione a freddo, questa volta con l’apparentamento con Pierluigi Piccini, sindaco dei tempi d’oro, che dalla sua aveva uno strabiliante risultato elettorale ottenuto al primo turno e un programma più che attendibile. Le somme dei due schieramenti non hanno fatto, però, il totale. Le stime dei flussi elettorali fatte da Centro Italiano Studi Elettorali (CISE) della Luiss mostrano un’inedita mobilità dell’elettorato cittadino e il mancato riscontro di questa alleanza. Queste stime mostrano che decisivi per il successo di De Mossi “sono stati i voti arrivati da quanti al primo turno avevano votato Sportelli (il 50% del suo elettorato del primo turno, pari a un sesto di quello al ballottaggio del vincitore), e, Piccini”. Nonostante l’apparentamento con Valentini gli elettori, che in prima battuta avevano votato per Piccini, hanno contribuito “per il 15% al successo del candidato di centrodestra”. I dati della Luiss mostrano anche “che i (pochi) elettori che hanno votato al secondo turno dopo essersi astenuti al primo (il 2% dei senesi) hanno tutti scelto De Mossi. Interessante, infine, rilevare come nessuno degli elettori del candidato a sinistra di Valentini abbia votato per quest’ultimo al ballottaggio. Si sono infatti divisi fra astensione (due terzi) e De Mossi (il restante terzo)”.
Se i limiti della strategia sono inquadrabili nel processo di depauperamento del partito di massa portato a compimento nell’era Renzi , la sconfitta di domenica rende visibili anche i limiti nella gestione della tattica. La maggioranza dei cittadini che avevano votato Piccini l’aveva fatto per non far vincere il Pd: questi elettori hanno mostrato di aver mal digerito un accordo che poteva avere un suo perché nei contenuti programmatici ma che è apparso come un’intesa solo di vertice. I cittadini volevano dare una lezione al Pd. E l’hanno fatto.
In una notte d’estate, mentre già i palchi adornano la conchiglia e i contradaioli fremono per il palio che si avvicina a grandi passi, le porte della roccaforte storica della sinistra si sono aperte a una coalizione civica di centro destra. La botta è stata grande e il militante si sente intontito e suonato, come un pugile dopo un terribile kappaò: ascolta Guccini, rispolvera le collezioni dei giornali che furono, l’Unità o Paese, impreca contro chi, in pochi anni, ha annientato una storia fatta di passioni, di lotte e di idee. Tutti dicono Toscana, ma a me mi pare una Toscana amara, dice il militante.
Nel 2013, non un secolo fa, il centro sinistra governava dieci capoluoghi su undici. Era la nostra Toscana, che credevamo bella e fiera del suo buongoverno. Poi, il primo crollo: i Cinque Stelle sfondano nella Livorno dei portuali; nel senese si regalano a liste civiche o di destra caposaldi storici del comunismo italiano come Colle Val D‘elsa, Pienza, Chianciano. Occhio, compagni! gridano in molti. I dirigenti minimizzano, rimanendo al loro posto. Quindi Cascina con i leghisti che conquistano un’altra città simbolo. E ancora: Grosseto e Arezzo. Oggi: Siena, Pisa e Massa. Poco resta di quello che fu. Ma alcuni tra i massimi protagonisti di questo disastro sono a Roma. Verrà il tempo in cui i senesi e i toscani torneranno a rimboccarsi le maniche. Ci sono abituati. Perché ciò avvenga occorre che chi ha combinato questo disastro si metta da parte. Da subito.
Leave A Reply