Sergio Staino, quante volte è stato a Cuba?
«Quattro o cinque. Dopo la laurea in architettura nel 1968 mi offrirono un lavoro all’Avana e per un momento pensai di trasferirmi. All’epoca vedevo tutto con gli occhiali rosa».
Ricorda la presa del potere?
«Nel 1959 avevo diciannove anni. Castro girava in camicia militare, circondato dal Che, e sprigionava fantasia, sberleffo, libertà. La sua era una rivoluzione che rompeva il perbenismo comunista al quale eravamo fin lì abituati. Sedusse una generazione».
E adesso?
«Sono stupito del ritardo con cui è esplosa la protesta. Nei Paesi dell’Est scoppiò trent’anni fa, qui soltanto ora. Credo dipenda dal fatto che Cuba ha una storia originale. Non è una rivoluzione importata di tipo leninista, ma fu il rovesciamento di una dittatura sanguinaria com’era quella di Fulgencio Batista. L’obiettivo era la democrazia».
La sinistra ha chiuso gli occhi sulla miseria in cui versa la popolazione?
«Nei miei primi viaggi ero colpito dalla presenza della polizia ad ogni angolo, ma sorvolavo. Agli inizi degli anni Ottanta l’Unità mi mandò a fare un reportage a fumetti. Venni invitato da delle suore italiane, che mi suggerirono di dire al tassista di lasciarmi a qualche isolato di distanza dal loro edificio. “Perché?” domandai. “Qui tutto è controllato”.
Che mondo vedeva uno straniero?
«I cittadini del posto non potevano frequentare i locali e gli alberghi, ma all’interno era pieno di ragazze che si prostituivano, circondate da protettori che corrompevano metà hotel. Il potere castrista sapeva, naturalmente, gli andava bene così. Poi entravi nelle librerie e trovavi i libri con intere parti tagliate».
Lo documentò?
«No, nella mia striscia descrissi i giovani che tagliavano la yuca e raccontai dei medici che Castro mandava in Senegal a curare gli africani».
Indossava ancora gli occhiali rosa?
«Tempo dopo andai a trovare una collega dell’agenzia Ansa, che mi rivelò che le pagelle scolastiche erano delle schedature per spiare le famiglie. Questa giornalista poi riuscì ad espatriare, a New York, dove conobbe un cronista italiano che sposò a Firenze. Quando la rividi in Italia le chiesi: “E perché hai lasciato Cuba?” “Cuba non c’è più”, rispose».
Quando cominciò a capire?
«Una sera ero a cena dal regista Tomás Gutiérrez Alea, quello di Fragola e cioccolato. Gli facevo continuamente delle domande. E lui, e gli altri suoi ospiti, cambiavano discorso. A un certo punto si spazientì: “Ma voi italiani avete la mania di parlare di politica!”. Dopo mezzanotte il salotto si svuotò. Gutiérrez mi prese in disparte: “Ora che se ne sono andate le spie del regime ti posso rispondere: “Potevamo essere il paradiso, e invece siamo in mano all’esercito».
Quando reagì?
«Nel 1994 il regime fucilò chi provava a fuggire a Miami. Per anni li avevano fatti partire, denigrandoli. Quella volta li fecero tornare indietro, i balseros. Disegnai un manifesto per i Democratici di sinistra contro le fucilazioni e finii nella lista nera dell’ambasciata. Non mi hanno più fatto entrare. Marco Rizzo disse che avevo nostalgia di Batista. Miserabile».
Che cosa ne ricava?
«Tutte le rivoluzioni socialiste culminano in una dittatura. Del resto quando tagli le parti dei libri perché “questo le masse non lo possono capire” segni l’inizio della fine di ogni rinnovamento».
Non poteva che finire così?
«Mi vengono in mente le parole di Bertolt Brecht: “Noi che volevamo apprestare il terreno alla gentilezza non potemmo essere gentili”. Ricorda in Albania? Il primo bar che hanno aperto dopo la caduta del regime l’hanno chiamato Berlusconi».
Cosa bisogna fare nel concreto?
«Confidavo in una mobilitazione nazionale e internazionale. Invece vedo un gran silenzio. Anche da parte del Pd».
Come spiega il silenzio della sinistra?
«Apatia, conformismo.
Bisogna denunciare questi falsi regimi comunisti, anche quello di Maduro in Venezuela, che i grillini celebrano come un’avanguardia. A Cuba va introdotta l’economia capitalistica, la democrazia».
Bertinotti dice che servirebbe una seconda rivoluzione.
«Mi sembra la pazzia più totale. Non ha capito che l’errore è nell’origine: è in Lenin. Maledetto 1921! A Livorno avrei votato anch’io per la scissione, invece aveva ragione Turati».
È colpa dell’embargo?
«Sì all’inizio della rivoluzione, perché se Fidel si è visto costretto ad abbracciare l’Unione Sovietica fu tutto merito dell’embargo americano. Se non ci fosse stata questa azione distruttiva degli Usa probabilmente oggi Cuba sarebbe una democrazia».
E oggi è ancora così?
«Oggi è un falso problema. Se sei ricco trovi anche i vini più pregiati. I militari in fondo sono contenti dell’embargo, perché dispongono di un formidabile alibi per giustificare la miseria e la repressione nei confronti dei dissidenti».
Letta segretario finora l’ha convinta?
«Si candida a Siena, vedo. Che senso ha? Ci serve un segretario che stia tra la gente, non in Parlamento».
Concetto Vecchio, La Repubblica, 18 luglio 2021
8 Comments
Sono assolutamente d’accordo su tutto.
Massimiliano
Di fronte alla alta e umile (nel senso di assolutamente umana e priva di qualsiasi permalosità culturale) onestà intellettuale di Sergio, espressa in quel magnifico “maledetto 1921!” , non riesco a non chiedermi : la destra di Fratelli d’Italia, e specificamente la Meloni, saprebbero dire con lealtà e schiettezza “maledetto 1919”, o “maledetto ottobre 1922”?
È un periodo in cui stiamo comprendendo sempre più che bisogna parlare con tutti, soprattutto in parlamento, perchè la politica è ottenere risultati per la gente, per il popolo, per le persone, non è mettere la propria bandiera in cima al monte. Dunque io voglio parlare anche con Fd’I . E voglio parlare di diritti civili anche con chi sta con Orban – in questo dissento da Letta – , perchè l’importante è che una legge entri in vigore, e nient’altro.
Però non riuscivo a non domandarmi questa cosa. Dunque volevo condividerla con voi.
Perché se la risposta fosse “no” sarebbe un bel problema.
Io spero che invece sia “sì” – cioè son capaci anche loro di una autocritica “assoluta” – perchè sarebbe bellissima vivere le prossime elezionì politiche con pathos ma non con “paura”.
Grazie ragazzi..
Massimiliano Crocco
Questo non dipende dalla politica, Massimiliano, dipende dalla qualità delle persone. Se la vita ti ha portato a considerare il tuo prossimo un tuo possibile nemico è ben difficile che tu riesca a maturare una riflessione che significa andare verso l’altro. Quello che però è vero è che ogni persona ha la sua storia ed è anche vero che per questo molte persone sono nel fondo buone e generose ma per chissà quali ragioni o errori nostri si trovano sul fronte dei “cattivi”. Per questo non ci rimane che il dialogo, tentare di spostare le persone sostanzialmente oneste sul nostro fronte. E’ ovvio che questa operazione può riuscire solo se noi siamo onesti, altruisti e pieni di passione solidale. Se non lo siamo, come purtroppo è la realtà, mi sembra assai difficile poter convincere altri. Personalmente ho molti amici di destra che votano ovviamente Salvini o addirittura la Meloni e che sono bravissime persone, rispettose dei loro vicini, amanti della propria città, umanamente puliti nelle loro ambizioni e che, ciononostante, votano a destra. Personalmente considero questa una nostra sconfitta perché significa che non siamo riusciti a presentarci per quello che dovremmo essere. Il dubbio è: non lo abbiamo fatto forse perché non lo siamo?
Un abbraccio,
Sergio
A proposito dei rapporti che in questo frangente politico potremmo (dovremmo) instaurare anche con chi è più distante da noi, allego alcune riflessioni sui possibili sviluppi del panorama politico italiano, sperando che almeno qualcosa di simile ci eviti un lungo periodo di governo di una destra pericolosa e fuori dal tempo.
https://ilquadernodiet.blogspot.com/2021/07/lavori-in-corso.html
Un compromesso “storico” tra europeisti riformisti (e ce ne sono, sia a sinistra che in Forza Italia e nella Lega – di governo come delle amministrazioni comunali e regionali – ) . Sono d’accordo, Ernesto.
Sono d’accordo perchè sempre più mi convinco che siamo logorati dagli sforzi e dalle ossessioni “anti-“, che ci schiacciano e deturpano da quasi trent’anni : antiberlusconismo, antigrillismo, antisalvinismo. Tutti fenomeni giusti politicamente parlando, anzi forse necessari. Ma ora, dopo lo sforzo dialettico di queste logoranti battaglie “anti- “, la sintesi di una classe politica matura dovrebbe essere la “nausea” dell’eterno muro contro muro, e il tentativo rigenerante, fresco, di smetterla di guardare l’altro parlamentare come il diavolo, e di compiere l’atto “rivoluzionario” di guardarlo negli occhi.
Il compromesso sarebbe l’inizio di un dialogo adulto. In parlamento non si parla, si urla, si inveisce scandalosamente. E a subire scandalo sono i cittadini e i giovani – che anche per questo, a partire dal 2013, hanno voluto “punire” la classe politica votando la classe antipolitica. Erano infantili, sì, ma anche disperati.
Dunque, sì, che la politica possa ridiventare l’arte del convincere e del coinvolgere, avendo fiducia nel fatto che urlando di meno e argomentando di più si possa avvicinare anche l’avversario. Il dibattito sulla l.Zan purtroppo ci ha insegnato tanto sull’incapacità di far questo.
Se gli europeisti riformisti “realisti” – direi, cioè distanti da ogni massimalismo – facessero quadrato, tra l’altro, anche le secche fasciste di Fd’Italia avrebbero meno spazio d’azione.
Per questo sono d’accordo con il discorso di Ernesto, che auspica, a mio vedere, innanzitutto una “rivoluzione dello sguardo”, dello sguardo nei confronti di quelli che, forse perchè eravamo amanti del conflitto ad ogni costo, costruivamo come “nemici”.
Grazie Ernesto di questi spunti.
Massìmiliano
A Sergio : grazie delle tue parole, e della profonda riflessione sulle nostre responsabilità anche, spesso, riguardo alla via politica intrapresa da altri.
Un abbraccio!
Massimiliano
Caro Massimiliano,
io da vecchio non ho consigli da darti, ma dico solo, a titolo di considerazioni, come faccio con mio figlio, che siete voi giovani gli attori della nuova prossima vita e da voi dipenderà la società in cui vivrete. Può darsi, ve lo auguro con tutto il cuore, che a voi riesca quello che non è capitato a noi vecchi e che alla fine del cammin di vostra vita non siate delusi come noi, ma comunque ci dovete provare con tutte le vostre forze con tutta la vostra passione e intelligenza.
Forse Dovrete utilizzare un linguaggio diverso dal nostro vecchio e superato. Forse dovrete Smetterla di usare la parola “anti”, vecchia e superata del nostro vecchio passato,come dici tu giustamente. Forse dovrete utilizzare ,invece il linguaggio, come scriveva il grande scrittore e poeta Alessandro Manzoni, “per capirvi meglio senza ingannarvi”. Forse dovrete Trasformare “i nemici“ in controparte con idee diverse ma rispettabili come le nostre e con le quale dobbiamo comunque cercare un compromesso. La vita,caro Massimiliano e guidata dal forse fino all’ultimo respiro che faremo sperando “forse” in un aldilà più chiaro e consolante. Non esiste, secondo me, la verità assoluta: ognuno di noi ha la sua ed anche qui forse per vivere meglio bisogna mediare comunque con un compromesso. Non so indicare a voi giovani qual è la cosa “giusta da fare”, ma vi auguro e vi esorto: provate con tutte le vostre forze a parlarvi senza ingannarvi. Buona giornata a tutti
Grazie Antonio delle tue preziose parole.
Ti mando un abbraccio.
Massimiliano