Intervista al vignettista e fumettista, a 30 anni dalla morte di Paz. “Andrea aveva la capacità di stupire, un eclettismo del segno che lo differenziava da tutti noi”. Oggi? “Nella società è subentrata l’offesa, l’insulto, prima nella satira c’era più intelligenza, si dovevano provocare riflessioni”
di PATRIZIA BALDINO
“Se oggi Andrea Pazienza fosse vivo, lo immagino un po’ in disparte, come Tanino Liberatore che vive a Parigi, o conducendo una quotidianità ritirata come Gipi. Ovviamente disegnando: del resto, non riusciva a trascorrere più di 10 minuti senza carta e matita”. Sergio Staino Paz lo conosceva bene, a partire da quel lontano 1977 quando il fumettista toscano si trovò tra le mani un libriccino, La settimana ha otto dì. Un volume di storie e filastrocche per bambini che nascondevano, nemmeno troppo velatamente, inviti alla rivoluzione; con testi di Federico Schianchi e, ai disegni, un giovanissimo Andrea Pazienza.
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“Le immagini mi piacquero tantissimo, con pochi tratti riusciva a raffigurare grandi tensioni. I suoi disegni richiamavano la politica, ma erano caratterizzati da una linea anorcoide surreale. Diventai un suo ammiratore, ricordo che compravo la rivista Frigidaire e leggevo innanzitutto le sue storie. Poi ci conoscemmo di persona. Andrea aveva la capacità di stupire, un eclettismo del segno che lo differenziava da tutti noi. Era in grado di utilizzare materiali diversi per le sue creazioni e cercava di ampliare le modalità di disegno. Mi ha sempre affascinato questa sua curiosità: mi ricordava quella dei pittori rinascimentali o quelli precedenti, del Duecento e del Trecento. Incarnava lo spirito vero di un artista”.
Tra la vasta produzione di Pazienza, c’è un elemento un po’ insolito, che si differenzia dai suoi personaggi famosi come Pentothal e Zanardi. Nel 1979, sulle pagine della rivista Il Male, fa capolino un signore basso, con la pipa in bocca e un po’ ‘andato’: altri non è che il presidente della Repubblica Sandro Pertini, immediatamente ribattezzato, per l’occasione, Pert. E a Pert Pazienza voleva bene, lo si capiva leggendo le sue avventure.
“Il presidente Pertini fu un elemento spurio all’interno della seriosità politica dell’epoca. Era vecchio, socialista e laico ma con un’attenzione inedita verso il mondo giovanile – racconta Staino – per quell’epoca era un anticonformista e il suo modo di porsi era genuino. Si percepiva che, al contrario degli altri, lasciava liberi i sentimenti. La maggior parte delle persone provava per lui una simpatia innata e Andrea se ne fece carico dando vita alla sua caricatura e sfidando l’autorevolezza costituzionale. Pertini era pur sempre il nostro Presidente. Ma lui non se la prese, anzi. Era attentissimo alle nostre vignette”.
E ora, se Andrea fosse vivo, potrebbe ancora fare satira come negli anni Ottanta? C’è un nuovo Pertini su cui i fumettisti possono puntare? “No, gli entusiasmi politici di quel tempo sono finiti. In quegli anni c’era molto più interesse per lo Stato, che ancora non ci aveva deluso completamente. Oggi si è persa l’attenzione a queste tematiche e sono subentrati degli elementi che in passato non c’erano: la cattiveria e il cinismo, che permeano la società e che a noi erano sconosciuti. È subentrata l’offesa, l’insulto, prima nella satira c’era più intelligenza, si dovevano provocare riflessioni. Oggi c’è una sfiducia generale che ha coinvolto anche noi fumettisti. Inoltre, il lavoro satirico è passato dalla carta stampata al web, e questo ha creato vari cambiamenti. Le riviste satiriche sono diminuite e i giovani non hanno molto interesse per le vignette che sbeffeggiano la politica”.
Eppure, il ricordo di Pazienza, del suo Pert che vaga alla ricerca di fascisti, o che attribuisce la canzone Stasera mi butto a Fabrizio De Andrè, è sempre molto vivo anche fra i più giovani. “La sua eredità è fortissima, così come la sua presenza. È una cosa che noto quando vado ospite nei licei: quando faccio il suo nome, sono in tantissimi a citare le sue opere. Non è stato dimenticato”.
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Staino vide Andrea Pazienza il giorno prima della sua morte. “Ho due grandi crucci quando penso a lui. Il primo è l’averlo forse aiutato a comprare della droga, prestandogli una somma di denaro. Il secondo è la sua assenza nel mio film Cavalli si nasce (dove Andrea avrebbe dovuto interpretare un pittore di arte sacra che in una chiesa raffigura immagini pornografiche per poi coprirle con alcuni santi, ndr). La sceneggiatura era pronta, lui aveva già fatto le prove. È morto due settimane prima delle riprese”.
Uno dei ricordi preferiti è nella sua scrivania: “È un disegno che fece a casa mia e che ironizza sulla mia miopia. Ci sono io, incazzatissimo, che parlo con dei massi scambiandoli per i miei familiari. I massi, ovviamente, non rispondono e allora io dico: ‘Siamo in Guerra Fredda, eh?'”.
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