Ho conosciuto Macaluso negli anni Sessanta quando ero studente di architettura a Venezia. Venne a fare un incontro sulla politica internazionale del Pci. Mi fece una pessima impressione. Mi sembrò un burocrate senza fantasia, senza cognizione di causa, senza una passione forte dentro. Il mio sguardo era rivolto verso esponenti comunisti più vicini a noi giovani ribelli, a quelli vicini al ‘68, che poi diedero vita al manifesto: Pintor, Rossanda. Questo compagno bravo, meridionale, di origini umili, a me sembrava figlio di un riformismo misero. Naturalmente questa cosa l’ho mantenuta dentro di me per molti anni, inseguendo la chimera terribile della rivoluzione proletaria, quella cinese, maoista, o addirittura albanese. Io ho vissuto dieci anni di follia in questo cunicolo fanatico nel quale ero finito cercando sempre il comunista più comunista fra tutti i comunisti. Avevo un gran disdegno per quelli che poi furono chiamati “i miglioristi”: Macaluso, Chiaromonte, Napolitano, Bufalini. Se proprio dovevo salvare qualcuno, nel Pci, al massimo salvavo Ingrao. Già Reichlin per me era troppo di destra. Tra le tantissime cose su cui ho dovuto ricredermi, nella vita, un posto importante ce l’ha questa: cioè tutto quello che ho dovuto riscrivere e rileggere accanto a Macaluso.
Fu lui a cercarmi, all’inizio degli anni Ottanta, perché da neo direttore dell’Unità aveva pensato che le mie strisce, quelle con Bobo, sarebbero state bene nel suo giornale. Io mi dissi: se piaccio a Macaluso ho sbagliato qualcosa. Comunque risposi no: categorico.
Poi le cose andarono avanti, la richiesta tornava. Il portavoce di Macaluso fu Carlo Ricchini – che allora era il caporedattore dell’Unità, altra persona meravigliosa, e Ricchini, con tanta dolcezza e fervore, riuscì a mettermi abbastanza in crisi. Alla fine accettai e cominciai a fare le mie vignette sacrileghe sulla politica italiana, compresa la situazione del Pci.
Fu la mia fortuna, sicuramente. E la cosa mi gratificava molto perché le mie strisce piacevano, facevano discutere. Ci volle molto tempo perché capissi che l’operazione per cui Macaluso mi utilizzava era molto più grande di me e del mio lavoro. Macaluso voleva distruggere l’apparato ecclesiastico della chiesa comunista, gli aspetti fondamentalisti del partito, i dogmi, i rituali vuoti di riferimenti con la realtà. Lui voleva che il giornale che lui dirigeva, l’organo del Pci, finisse di essere un giornale che insegnava alle masse le giusta lezione del comitato centrale, e diventasse invece un giornale di discussione, di proposta, di ricerca, di costruzione collettiva delle nuove strade e delle nuove impostazioni che servivano a un partito che volesse incidere veramente nello sviluppo del nostro paese. Senza saperlo lo aiutavo in questo suo sforzo. Perché le vignette che facevo – piacessero o no – erano molto sincere. Non inventate cercando castelli in aria. Le disegnavo raccogliendo gli umori dei militanti, nelle sezioni. Allora l’apparato del partito tendeva sempre a mostrarsi monolitico nelle sue scelte. Ma la realtà interna del Pci era ben diversa. Le mie vignette facevano semplicemente questo: prendevano gli umori, le insoddisfazioni che si manifestavano nelle sezioni, e li mettevano nero su bianco nelle pagine del nostro giornale. Sorridendo, cercando di non offendere nessuno, però attraverso questo mio sorriso inoculavo il dubbio nell’animo dei miei compagni. E Macaluso questo voleva: il dubbio.
È stato un grande. E lo è stato fino all’ultimo giorno. Non ha mai avuto un attimo di nostalgia verso il passato. Ha sempre valutato con serenità le cose buone e quelle brutte del passato. E ha sempre cercato nuovi modi per capire la realtà, salvaguardando tutto il patrimonio di valori che ci venivano dalla nostra storia anarchica, o comunista, e socialista, e tutti i valori che ci venivano dalla democrazia borghese: la libertà. Uguaglianza sociale e libertà, erano queste le sue stelle polari: per questo l’ho amato. Lo ho amato moltissimo. E credo di essere stato ampiamente ricambiato. I rapporti con lui non sono mai cessati e anche negli ultimi tempi leggevo ogni giorno il suo corsivo, quello firmato ”Em.ma”, e trovavo sempre qualcosa di nuovo da imparare. E poi lo chiamavo al telefono e ci scambiavamo le idee.
È difficile dirlo senza voler offendere, ma devo dire che nessuno aveva un equilibrio di valori così armonico e così proficuo come quello del compagno Macaluso. Mi vengono da scrivere le parole che Garcia Lorca usava per il suo amore Ignazio Sanchez Mejias, ucciso dal toro nell’arena: “Tarderà molto a nascere, se nascerà, un compagno così puro, così pieno di avventura”.
Il Riformista, 20 gennaio 2021
3 Comments
Caro Sergio,
Commentando il tuo articolo su l’operato del grande dirigente del PCI ed ex direttore del glorioso, ormai estinto, giornale di partito l’unità, mi permetto di fare alcune considerazioni sulla tua vita e la mia, precisando subito che tu hai scritto una pagina della storia umana io invece sono uno dei tanti che hanno spinto e spingono la stessa, Senza lasciar traccia della loro presenza. Naturalmente confermo , e lo rivendico con orgoglio, il percorso della mia vita. Provo a fare il confronto e spero di dimostrare che quando due idee diverse hanno lo stesso obiettivo alla fine il compromesso tra esse si riesci a trovare.
Comincio col dire che io,come ho già scritto su questo blog parecchie volte, provengo da una famiglia contadina del sottoproletariato,senza terre (mio padre da ragazzo soffri la fame, nonostante lavorasse 16 ore al giorno come pastore). Io, grazie al mio grande genitore, vissi,fino a 16 anni nel profondo sud in casolari di campagna, in regime di mezzadria,senza luce, senza acqua,ma non mi manco mai il pane e l’amore della mia famiglia. Tu caro Sergio, pur provenendo da una famiglia di contadini, hai comunque avuto un padre carabiniere con uno stipendio assicurato.
Da ragazzo ho dovuto “rubare” la cultura frequentando le pluriclasse leggendo i libri e facendo i compiti dietro le pecore. Ho frequentato poi le scuole medie per televisione, e le superiori e l’università a Milano, da emigrante disadattato e lavorando. Non ho avuto tempo per partecipare all’occupazione scolastica, alle manifestazioni oceaniche, ma mi sono sempre schierato per la democrazia, la libertà e la solidarietà, come mi insegnò sempre mio papà e mia mamma. Veniamo ora al confronto vero. Da giovane sindacalista, come impiegato in una industria metalmeccanica, al tempo delle brigate rosse mi sono schierato dalla parte dello Stato, così come fece Macaluso ed altri dirigenti del pci, rischiando la mia incolumità pur di difendere la nostra attuale democrazia rappresentativa.
Tu invece, da quello che ho letto sulla tua autobiografia, eri fra quelli che dicevano: “ne con le brigate rosse ne con lo Stato, quasi brigatista“, come hai confermato in una intervista al Corriere della Sera. Eppure parlavi di giustizia sociale, di libertà e solidarietà, considerando Emanuele Macaluso un “revisionista”,un quasi fascista.Ho capito bene?
Io ho continuato a pensare che il comunismo, nel quale avevo creduto per tanto tempo, non poteva realizzare gli ideali, di libertà, democrazia e solidarietà. Non ho avuto quindi nessun rimpianto, nessun rimorso ad abbandonare Marx e la sua filosofia. Ho apprezzato quindi la democrazia rappresentativa come unica soluzione praticabile per governare una comunità. Ovviamente ho dato, do e darò per scontato il compromesso delle idee facendo un passo indietro con la mia filosofia. Ho vissuto il travaglio dal pci al pd,ma ora accetto e non sono disposto a cambiare. Da quando sono approdato al partito democratico Italiano, ho sempre visto con diffidenza tutti coloro che lo criticano eccessivamente. Con questa convinzione, ho criticato, spesso anche fortemente,il compianto Emanuele Macaluso: non mi sembrava giusto il suo disimpegno nel partito e la sua critica feroce all’attuale dirigenza. Tu caro Sergio hai sempre ritenuto giusto attaccare i vertici del partito democratico, poi, giustificando ed applaudendo Macaluso.
Devo però concludere dicendo che comunque alla fine tutti e tre ci siamo trovati a combattere dalla stessa parte insieme con il PD.
Forse dovremmo spingere più sul compromesso ed occuparci del pronome noi frenando il nostro io. Speriamo che i posteri lo facciano. Buona giornata a tutte/i e, aldilà della solita considerazione dell’intellettuale: “ Excusatio non petita, accusatio manifesta”, chiedo scusa anticipatamente se nell’esprimere il mio concetto ho offeso sensibilità diverse dalla mia: non era nel mio intento. Antonio De Matteo MI
Grazie Antonio per la tua storia. Quando qualcuno si racconta lo leggo sempre con estremo interesse.
Un abbraccio!
Massimiliano
Caro Massimiliano,
grazie a te per aver letto una parte della mia storia. La vita è un susseguirsi di occasioni alla ricerca della “fortuna” per scrivere un rigo nel libro della storia umana. Sapere quindi che una parte delle mie vicissitudini siano prese in considerazione dai miei posteri, giovani/e come te, non può che costituire grande gioia e soddisfazione per chi ,come me, giunto verso la fine del proprio percorso di vita, si appresta a fare “un consuntivo inconsistente ed evasivo” in cerca di consolazione e pace eterna.
Un grande abbraccio, purtroppo solo virtuale, ma con grande affetto e riconoscenza. Antonio