Indiscrezioni di stampa (non smentite) raccontano di Giuseppe Conte fortemente impegnato a portare “serenità” ed a suggerire mediazioni per districare una disputa societaria di rilevante entità nel settore delle reti mediatiche e di telecomunicazione, particolarmente complicata per le sue implicazioni geopolitiche a livello europeo e globale.
In un incontro prenatalizio con l’amministratore delegato della multinazionale francese Vivendi, il presidente del Consiglio avrebbe discusso e prospettato soluzioni e assetti di governance per i delicati dossier Tim e Mediaset nei quali il gruppo francese ha un ruolo di primo piano in termini di partecipazione azionaria. Da quanto si può intuire Vivendi — anche per compensare le perdite derivanti dalla sua presenza in Tim e Mediaset — sta da tempo costruendo alleanze strategiche con i due colossi digitali cinesi Huawei e Tencent.
Il primo, Huawei (su cui da cui da anni sono aperti i riflettori dei servizi occidentali di intelligence), è già impegnato in una partnership con Mediaset; il secondo colosso, Tencent è noto in tutto il mondo per la sua App Wechat (una sorta di “WhatsApp” cinese che integra un sistema monopolistico di pagamento obbligatorio in molte aree della Cina (quindi controlla cosa comunichi, dove ti trovi e cosa compri). Per inciso l’app WeChat proprio in questi è oggetto di proteste perché, in alcune province cinesi, senza scaricarla i cittadini non possono salire sugli l’autobus; ciò irrita gli anziani particolarmente numerosi in Cina dal momento che la legge sul figlio unico trascinata troppo nel tempo ha prodotto un massiccio invecchiamento della popolazione.
Palazzo Chigi è certamente un palazzo importante e Conte ha una eccellente competenza in materia di mediazioni finanziarie e societarie, ma è irrealistico pensare di risolvere a Roma una lunga controversia che ha pesato assai negativamente sullo sviluppo tecnologico del nostro paese, ma in cui ormai l’Europa e gli attori globali hanno un’influenza da cui non si può prescindere. Con tutto il massimo rispetto per il suo difficilissimo lavoro in questa fase in cui alla drammatica pandemia si sommano nuove tensioni politiche mi permetto di trasmettere al Presidente Conte tre suggerimenti:
a) coinvolgere il Cisr sulla materia per concertare l’avvio di una attività riservata di prevenzione su possibili influenze di paesi esteri illiberali nel nostro paese, di cui c’è già traccia concreta in materia di 5G. Nella sua ultima versione del 7 gennaio, il Recovery Fund continua a destinare un notevole pacchetto di miliardi alla digitalizzazione pubblica e privata: non devono finire in mani sbagliate;
b) nell’esame dossier sulle reti mediatiche e di telecomunicazioni il Governo dovrebbe annunciare da subito la volontà di aprire un confronto con l’Ue e con la nuova amministrazione Biden. Guai a dimenticare che Huawei e Tencent sono nel mirino degli Usa e sotto severa osservazione da parte della Commissione europea;
c) destinare una adeguata parte del Recovery Fund al 6G per evitare quanto accaduto con i ritardi sul 5G e la conseguente penetrazione di imprese cinesi nella nostra penisola. Per fortuna sul 6G l’Europa è all’avanguardia e l’Italia può candidarsi a luogo privilegiato di ricerca e sperimentazione.
Per una volta il Governo anticipi il futuro. Sarebbe una scelta lungimirante per le nuove generazioni che può portare molto prestigio internazionale all’Italia e rafforzare la sua vocazione euro-atlantica. Sul piano della politica tecnologica estera Giuseppe Conte ha sottovalutato il ruolo relativamente “debole” che la Costituzione italiana affida al Presidente del Consiglio che non può fare molto da solo. Ad esempio non valorizzare il ruolo del Cisr e dei suoi Ministri sui dossier più sensibili, non cercare una personalità di fiducia a cui delegare o una parte dell’intelligence sono stati sin qui segnali — almeno a mio modesto avviso — di una eccessiva sicurezza non tanto delle proprie capacità, ma dei limiti istituzionali della Presidenza del Consiglio, si pensi al raffronto con la dimensione organizzativa e funzionale del Mef.
Palazzo Chigi ha molto fascino, ma comporta anche per Conte il rischio di cadere nella stessa sindrome di solipsismo politico da cui sono stati affetti in passato Massimo D’Alema e Matteo Renzi una volta a Palazzo Chigi. Giuseppe Conte è un accademico e giurista di grande livello, molto apprezzato anche nella comunità della giustizia amministrativa. Ma per diventare un “avvocato del popolo”, o meglio un leader politico popolare (per esprimere lo stesso concetto in termini meno demagogici) è un’altra cosa. Significa non fare da mesi melina sul Mes/sanità, ma avere detto sin dall’inizio la verità ai cittadini: “So che il Mes servirebbe moltissimo per un potenziamento immediato del Servizio Sanitario Nazionale, ma io e Speranza abbiamo trovato nei 5 stelle una opposizione totale. Devo impuntarmi e aprire al buio una crisi di governo? O ingoiare il rospo perché in piena pandemia sarebbe un rimedio peggiore del male?” Un discorso chiaro, diretto, da statista. Per essere “avvocato del popolo” occorre inoltre esprimere sì e no chiari. Solo un esempio. Anche se l’idea è stata lanciata dal “filibustiere” di Rignano, la proposta merita grande attenzione e una risposta chiara. È giusto e possibile vaccinare al più presto più 400.000 insegnanti con evidenti vantaggi per studenti e famiglie? O sì e sì o no e no.
Passare dal limbo dei saloni felpati dove si discutono in punta di fioretto le controversie tra multinazionali all’inferno della politica è difficile, ma non impossibile. L’avvocato Conte da settimane si è chiuso nel suo “fortino”, il tempo per ragionare e decidere per il suo futuro. Ma ora — come si dice a Firenze — “siamo alle porte coi sassi”, è arrivato il momento di sciogliere il dubbio amletico. Se non ora quando?
Marco Mayer, Start Magazine, 9 gennaio 2021
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