Come fortunatamente sta succedendo in molte parti d’Italia, anche a Scandicci si è tenuta un’assemblea aperta a compagni appartenenti all’intera area della sinistra, sia militanti delle varie organizzazioni, sia compagni senza alcuna collocazione partitica. Una cosa particolarmente bella è che questa iniziativa si sia tenuta all’interno della locale Festa dell’Unità, tecnicamente organizzata e accettata dallo stesso PD in uno spirito sinceramente unitario e fraterno come difficilmente capita di vedere in questi ultimi anni. Questo che posto qui sotto è il documento scaturito da questa riunione. Chiamiamolo “Scandicci, 18 giugno 2018” e leggiamolo come prezioso contributo del nostro territorio a un dibattito che sta crescendo in tutta la sinistra e che dovrà sfociare finalmente in un vero congresso, serio e approfondito.
Questo non è il tempo di dichiararsi sconfitti, di rinunciare ai valori, di arrendersi all’ineluttabile declino della politica.
Questo non è il tempo delle recriminazioni, dei rancori e delle ostinazioni.
Questo è il tempo di avere il coraggio di cambiare prima di tutto noi stessi, di studiare quello che avevamo solo ripassato, di guardarci intorno senza filtri.
Questo è il momento delle persone che tengono davvero al Partito Democratico, nel senso che tengono al ruolo che questa preziosa infrastruttura democratica del Paese può giocare nella Storia dell’Italia nel prossimo futuro. Che non credono all’inutilità della sinistra nel tempo che ci è dato di vivere. Che pensano che ci sia un modo per affrontare le contraddizioni di questa società con uno sguardo diverso dal cattivismo e dal semplicismo dilagante. Perché i problemi sono complessi e le soluzioni lo saranno anch’esse, per forza.
Questo è il tempo di ricostruire e ricucire tutto quello che si è rotto e strappato in questi anni. Bisogna farlo senza tuttavia finire per rifare gli stessi errori di prima. Perché qualcosa, da diversi anni, nella gestione del centro sinistra e nel suo rapporto con il Paese non andava.
E’ il momento di chi sceglie di ascoltare. Di capire il perché delle cose. Di dare un senso ai fenomeni epocali che abbiamo di fronte, prima di proporre agli italiani cosa si dovrebbe fare.
Non è il momento dei nostalgici. Perché il mondo è a una svolta così radicale che non tutto il bagaglio del passato è utile per leggere il presente. La nostalgia non fa essere obiettivi e fa sì che ci si accontenti del già visto e del già giudicato.
Non è il momento dei permalosi. Non è il momento dei furbi. Non è il momento di sedersi. Un’intera classe dirigente diffusa ha fallito l’appuntamento con la storia. Ma può capitare. Nessuno è indispensabile e tutti siamo preziosi. Si riparte, con chi c’è e con chi ci sarà perché ritroverà un senso al suo impegno in uno strumento collettivo. Abbiamo una strada in salita, perché le persone perse per strada sono tante e alcune – che ci piaccia o no, che sia vero o no – si sono sentite abbandonate o peggio tradite dal centro sinistra in questi anni. Ci aiuterà una rinnovata umiltà e un metodo di lavoro diverso.
Non è il momento di avere fretta. Abbiamo tutto da perdere se ci infiliamo di nuovo nelle strade battute delle competizioni fra personalità. La ricerca della leadership, pur fondamentale, ha senso solo se il progetto è già chiaro, condiviso e convincente. Tutto il contrario della situazione attuale. Nessun congresso in questi mesi sarà veramente utile se si limiterà alla solita competizione fra leader e codazzi interessati.
Questo è il momento che il PD cambi le sue regole.
Il tempo passato dalla fondazione del PD è molto più di quello che sembra. Laddove c’era il bipolarismo adesso troviamo tre pezzi di elettorato. Laddove ci si lamentava dell’eccessiva immobilità dei blocchi elettorali, adesso ad ogni elezione quasi tutti gli scenari sono aperti per ciascuno dei contendenti. Laddove ci si appoggiava alla forza tranquilla e persuasiva dei valori delle grandi tradizioni politiche della Costituente, oggi solo un quinto degli elettori ha scelto i partiti che ne portano formalmente l’eredità.
Insomma, in un contesto mutato, di fronte alla più grande sconfitta del centrosinistra nella storia repubblicana, una delle cose da fare è aver paura di cambiare le regole che, in parte, per quanto possano influire, hanno condizionato il Partito che abbiamo vissuto.
Si è perso il valore di risolvere i problemi insieme. Ognuno si è fatto la sua fondazione, si è coltivato il “particulare”, si è rinunciato a un’identità politica contemporanea, difficile da costruire, ma necessaria. Un grande ripensamento sul punto delle fondazioni politiche personali andrà prima o poi fatto.
Laddove abbiamo incrociato e chiamato ad esprimersi migliaia di cittadini e simpatizzanti, ovvero nelle primarie, abbiamo sempre ritenuto follemente di non utilizzare quegli elenchi di persone, di disponibilità e – a loro modo – di militanza. Rinunciando ad un legame che non fosse meramente quantitativo, di delega in bianco o quasi, di investitura del leader di passaggio. Rinunciando a legare al progetto del PD quelle tante persone e consentendo loro, alla prima svolta di abbandonarci e di cercare ascolto su altre sponde.
Per cominciare: il segretario nazionale del partito lo scelgono gli iscritti. Si faccia un passo indietro dalla corsa ai gazebo, dall’apertura indiscriminata, alla fine, fine a se stessa, dalla permeabilità a chiunque; si smetta di premiare chi divide. Si faccia leader chi unisce. E non per forza il segretario sia il candidato premier; non ha più senso, ci se ne faccia una ragione. Il segretario si occupi di una comunità attiva. La classe dirigente e di governo di un partito serio cresce nei territori, si forma, non si pesa in quintali di voti presi alle primarie, ma in risultati di governo e idee nuove con cui si è aperta una nuova strada e si sono trovati nuovi alleati nella società.
A noi serve approfondire i temi e capire come la pensiamo come comunità democratica sui temi prioritari per il paese. Per poi essere più autorevoli e forti nel sostenere le nostre posizioni. Allora si ragioni di congressi per tesi. Non solo di scontri fra gruppi dirigenti. Tanto si sa che anche le mozioni erano l’occasione di posizionamenti e motivo di assurde contrapposizioni e divisioni. Che poi restavano e pesavano nella vita quotidiana e niente sembrava resistere quanto quei solchi fra persone. Senza alcuna ricaduta sul consenso nel Paese. Anzi, è successo in questi anni che dal vasto popolo del centro sinistra venissero delle critiche sulle iniziative di governo e spesso non le si sono ascoltate abbastanza, se non dileggiate. A questo si è accompagnato il fenomeno che le persone che ragionano sui temi, che sanno articolare una posizione specifica e documentata sui vari settori su cui ricade l’attività di governo nel partito non ci siano più. Le abbiamo perse. E allora…
Ci si apra strutturalmente a chi nella società rappresenta quel mondo di cittadinanza attiva che ad un democratico per principio dovrebbe piacere. La tessera è dei singoli, ma la visione è di tutte le organizzazioni democratiche che abbiano a cuore una società aperta, l’uguaglianza sostanziale e il rispetto della legalità. Il partito come luogo d’incontro di mondi, associazioni, organizzazioni, società in movimento; definire obiettivi comuni e rendersi disponibili a aprire fronti e dibattiti. Tesserare e rendere partecipi della governance del nuovo PD anche loro. Tradurre le innovazioni dei compagni di strada e farne programma politico, ma anche stimolare chi ne ha bisogno a evolvere. Un motore di cambiamento, necessariamente diverso e più inclusivo del passato, che si mette a disposizione di chi vuole interpretare il nuovo millennio. Un motore di un’area di sinistra della quale il PD sia la guida e il supporto.
Si dovrà discutere del merito di alcuni temi fondanti l’identità del nuovo centrosinistra italiano. Lo faremo nella discussione di questi mesi in cui, disorientati e frastornati dalla sconfitta storica del 4 marzo, in molti stiamo cercando di rimettere ordine alle cose da fare. Poi lo faremo nel congresso che – come detto – dovrà necessariamente essere un vero approfondito momento di recupero di un orizzonte comune e di obiettivi immediati di azione politica. Lo dovremo continuare a fare a valle del percorso congressuale, ritornando nei circoli, nelle nostre comunità, riportando in tutti i territori la discussione sui temi, con l’attenzione che si deve alle competenze di tutti coloro che vi parteciperanno, con la cura di non smettere di ascoltare i problemi e le critiche.
Lo faremo a partire dal lavoro. E in particolare è necessario impostare il ragionamento sul lavoro che è cambiato e che cambierà ancora. La rivoluzione digitale, l’impatto del lavoro 4.0 sul nostro mondo del lavoro, il nostro rapporto con la tecnologia e le conoscenze che essa implica.
Dovremo tornare a proporre un’idea di futuro in Italia praticabile e convincente per chi oggi ha vent’anni in Italia. La generazione più formata ma con meno opportunità dell’ultimo secolo ha diritto di essere ascoltata dalla politica e di avere una classe dirigente che non la adula né la usa per farsi bella, ma che si mette a costruire insieme a lei le concrete prospettive per sentirsi protagonisti delle scelte più importanti da fare.
E, infine, il tema dei cambiamenti climatici dovrà assillare la nostra discussione sulle pratiche quotidiane, sulle politiche industriali, sulle grandi scelte infrastrutturali. Il mondo è già in molte zone sconvolto dalle conseguenze di mutazioni gravi e permanenti del clima, con ricadute immediate su intere popolazioni. Le migrazioni che si annunciano nel prossimo futuro motivate da questo enorme problema sono paragonabili e si sommano ai numeri che si fanno per l’emigrazione economica. C’è una sfida per noi e per l’Europa nell’essere i più capaci di cogliere anche le opportunità di sviluppo e di conversione ecologica delle nostre economie.
Tre temi, solo per cominciare, che ci faranno alzare la testa dalla quotidianità, ci faranno provare a ragionare del domani e non solo delle prossime due ore, ci obbligheranno a rimetterci un po’ a studiare.
Ma, dopo quello che è capitato, è il minimo. Lo dobbiamo a tante persone che continuano ad avere bisogno di un partito, di una rete di militanti e di luoghi di discussione che dia voce alle preoccupazioni e provi a trovare le risposte che finora non abbiamo saputo trovare alle tante questioni aperte della società.
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Nella nostra realtà, a fronte di un presidio elettorale e di consenso ancora forte, se pur in calo rispetto al recente passato, non dobbiamo smettere di aprirci. Come si costruiscono alleanze per le prossime elezioni amministrative, che rapporto si mantiene con gli organismi intermedi sui territori, come si ascoltano e si portano a sintesi anche i pareri e le istanze di chi ha abbandonato il PD. Bisogna ragionare di contenuti per buttare fuori le tossine delle polemiche personaliste. In questi anni sono fioriti, gruppi, realtà parallele al partito luoghi di dibattito fra simili, che hanno incancrenito le reciproche divisioni fra iscritti e dirigenti. Anziché fare lo sforzo della sintesi talvolta il PD ha assecondato questo deprecabile moto di potere centrifugo e dispersivo, per non aver l’incombenza di dover scegliere. Vanno ridiscusse molte scelte, alla luce dei cambiamenti profondi che anche qui da noi sono avvenuti. Ad esempio, laicamente va ripensato il modo in cui ragiona sul e con il territorio il nostro PD, a partire dal circolo unico comunale; su questo punto, optiamo per una presenza organizzata nei quartieri e con responsabilità elettive.
La forza degli iscritti va concentrata sullo strumento piattaforma PD con il meglio delle nostre energie oltre che delle risorse, non distraendola altrove.
La nostra amministrazione comunale va fortemente e convintamente sostenuta. Ci vuole una relazione forte con la Giunta il consiglio e il suo lavoro, da supportare, soprattutto in vista della delicata scadenza delle amministrative 2019. Vanno strutturati fin da subito cantieri aperti di discussione sulle prospettive della città, sul legame fra le scelte compiute in questi anni e il futuro del nostro Comune. Ci dovremo rivolgere anche a chi è uscito, senza paura e senza pregiudizi; è del futuro che si parla. Dobbiamo dare voce alla nostra idea: il PD è patrimonio del Paese e un luogo aperto di confronto.
Affiancando a questi momenti di approfondimento locale altre occasioni di studio e ragionamento sulla prospettiva generale della società, dell’economia, della politica in questa fase storica. Perché da qualunque parte la si prenda, siamo di fronte a un scenario in costante mutamento e la dimensione locale e quella globale sono sempre più interconnesse.
Bisogna ripartire dall’analisi dei temi sul territorio. I quartieri vanno presidiati seriamente, con il tesseramento e non solo. Le consulte di quartiere che erano state promesse non si sono mai riunite.
Al centro della nostra iniziativa è infine necessario saper ascoltare i bisogni, le paure, i problemi presenti nei quartieri. Mentre altri li strumentalizzano a noi spetta il compito di trovare le risposte giuste per superarli. Ciò si può fare aprendoci alle tante energie positive che esistono sul territorio, per la cura dell’ambiente, per la crescita culturale, per l’aiuto ai meno abbienti. Ci sono alcuni circoli, associazioni, comunità che ci stanno provando. Facciamolo tutti insieme.
16 Comments
Bello il documento, pieno di passione civile. Ottimi i temi proposti. Su un punto però è necessario approfondire: il tema del leader e delle primarie. Si entra in contraddizione quando si chiede un miglior utilizzo degli elenchi-primarie e poi si chiede in contemporanea che il segretario sia eletto dai soli iscritti. Siamo tutti abbastanza (forse troppo!) adulti e vaccinati per non sapere come si scateni la corsa alle truppe cammellate e ai pacchi di tessere in occasione dei congressi. Le primarie rendevano inutili quelle faticose e avvilenti maratone. Non difendo a priori le primarie, che comunque ritengo un magico strumento di democrazia. Credo che comunque siano indispensabili per designare il capofila nel caso di coalizioni, aprendo anche a più candidature di partito o di non iscritti ad alcun partito con l’ovvia previsione di un ballottaggio qualora nessuno abbia superato una certa soglia. Va bene premiare l’attività degli iscritti quando si sceglie il segretario; non va bene consentire la corsa ai pacchi di tessere. Propongo di individuare la rappresentatività di un circolo nei voti portati al partito nel territorio di competenza. La discussione sia aperta a tutti (iscritti o no) in sezione e il voto sia riservato agli iscritti presenti, ma poi i delegati siano portatori dei voti realmente ottenuti alle politiche nel territorio di competenza. Certi avvilenti fenomeni perlomeno sarebbero meno frequenti ed eclatanti! Forse eccedo in tecnicismo ma i metodi prescelti sono fondamento di democrazia.
Un plauso convinto e sincero ai compagni/amici di Scandicci.
Sono d’accordo con te: l’idea di collegare la rappresentatività del circolo a un numero di voti raccolti mi sembra ottima.
Sergio
Ho letto con attenzione e fatica il documento “Scandicci 18 giugno 2018”ed ho avuto la stessa sensazione e la stessa emozione di quando ho letto “il capitale di Marx”. I temi sono entusiasmanti, tutto condivisibile, ma poi ho pensato a come è stata realizzata nel tempo la filosofia di Marx e sono stato colto da una grande delusione e scoramento. Inneggiare alla democrazia, alla libertà, alla solidarietà e facile ed attrattivo: tutti gli esseri umani condividono a loro modo i suddetti concetti; ma le difficoltà, i problemi nascono quando si passa dalla filosofia alla pratica. Ognuno di noi ha un’idea diversa della democrazia della libertà ecc. e quindi bisogna restringere la discussione sui singoli punti e trovare un compromesso evitando documenti lunghi “barbosi” e difatto poco utili nella realizzazione di fatti concreti. Io preferisco il missionario, colui che si impegna a dare una mano “ai poveri cristi”, al predicatore che pure elencando temi condivisibili non fa nulla per risolvere i problemi della gente. Torniamo quindi ai singoli problemi del PD. L’elezione del segretario nazionale del partito democratico attualmente è decretata da una regola,secondo me,ottima e democratica: mi pare che venga eletto prima dagli scritti e poi dai simpatizzanti.
Il problema quindi non sta nell’elezione del segretario nazionale, ma bensì nel riconoscimento di costui da coloro che non l’hanno votato. L’unità e la forza di un partito , o comunque di una associazione qualsiasi, sta nel modo con cui si difende e si porta avanti la linea vincente del congresso da parte di tutti gli aderenti al partito a partire dagli scritti fino ad arrivare ai simpatizzanti. Quindi per concludere questo discorso io penso che i candidati alla segreteria nazionale del PD non devono scrivere discorsi lunghissimo e filosofici che per leggerli devi impegnare due ore e passa il tuo cervello, ma puntare sul 3 o 4 punti che vogliono realizzare se riescono a vincere e poi governare l’Italia. Deve essere comunque chiaro che la linea vincente del congresso del PD va poi sostenuta da tutti e non ci deve essere il “Pierino di turno”che dice: “io non sono d’accordo e chiedo che si rivota”.
Anzi io vado oltre chi osteggerà la linea vincente al congresso del PD, secondo me, deve essere espulso. La libertà di pensiero va garantita, ma tutti insieme dobbiamo andare nella direzione che avrà maggiori consensi. Ho già scritto troppo e non voglio annoiare coloro che mi leggeranno. Ringrazio quindi per la vostra attenzione e chiedo scusa a cloro che la pensano diversamente da me, se il mio scritto offende la loro sensibilità. Un abbraccio a tutti Antonio De Matteo Milano
A
Ho letto con attenzione e fatica il documento “Scandicci 18 giugno 2018“ ed ho avuto la stessa sensazione ed emozione di quando ho letto “il capitale“ di Carlo Marx .Tutto condivisibile ed allettante, ma, quando ho pensato al come è stata realizzata la teoria del grande filosofo ed ai risultati ottenuti nel mondo, sono stato colto da una grande delusione e scoramento. Tutti gli esseri umani plaudono alla libertà, alla democrazia, alla solidarietà; ma poi ognuno di noi vuole la “sua libertà”, “la sua democrazia” eccetera. È necessario quindi ragionare sui singoli argomenti e discutere e poi trovare un compromesso su come realizzare il pensiero filosofico che ci ha guidato. Elencare tanti problemi sul documento che dovrebbe aprire il dibattito e la discussione fra gli addetti ai lavori non facilita la discussione, ma anzi la complica e la rende quasi impossibile.
Io penso che i candidati alla segreteria nazionale del partito democratico non devono scrivere un documento programmatico che impegna il nostro cervello per due o più ore, ma individuare 3-4 punti importanti e necessari per lo sviluppo del nostro paese e proporre la soluzione, integrandoli nella discussione successiva.
Per essere concreti parliamo del metodo per eleggere il segretario nazionale del PD. Io penso che la regola già esistente è ottima e democratica: se non ho capito male il segretario nazionale viene scelto prima dagli scritti e poi dai simpatizzanti del partito. Il problema quindi, secondo me, non è la regola per eleggere la massima carica del partito democratico, ma il riconoscimento della suddetta carica da parte di coloro che non l’hanno votata, Non può esserci“ il Pierino di turno“ che, dopo l’approvazione da parte della maggioranza congressuale della linea politica futura del PD, dica: “Io non sono d’accordo e chiedo una nuova votazione”. Vado oltre: bisognerebbe stabilire che chi osteggia la linea politica stabilita dal congresso del PD deve essere espulso da quest’ultimo. La libertà di pensiero va garantita a tutti, ma poi si rema tutti nella stessa direzione stabilita dalla maggioranza del popolo del PD. Ho scritto già troppo: non vorrei annoiare coloro che mi leggeranno.
Chiudo ringraziando tutti per l’attenzione e chiedendo scusa a coloro che la pensano diversamente da me, sei il mio scritto offendere,involontariamente, la loro sensibilità. Un abbraccio a tutti
Antonio De Matteo Milano
Caro Sergio,
che delusione il vostro documento!
Esso purtroppo riflette posizioni riscontrate anche presso il mio Circolo e riflette anche lo stato di depressione morale e politica in cui sta cadendo il nostro Partito.
Come dicevo già in un altro post, evidentemente siamo diventati tutti una manica di coglioni ed incapaci, ci cospargiamo di cenere a piene mani, singhiozziamo chiedendo perdono, facciamo promesse di non farlo più e di essere più buoni …
Cazzo, Sergio, non avete scritto un rigo per rivendicare quello che è stato fatto in 4 anni di governo.
Non un rigo, come se fosse un’esperienza da rimuovere, una storia di cui vergognarsi, un passato da cancellare, dimenticare e far dimenticare.
Come disse Scalfaro: IO NON CI STO!
E lo ha detto anche Paolo Virzì nella sua bella intervista: abbiamo prodotto il miglior governo del dopoguerra e adesso ci mettiamo in un cantuccio a singhiozzare, leccandoci le ferite?
Non va bene. Non è questo lo spirito che ci riporterà al governo per riprendere il cammino delle riforme.
Questo è lo spirito per fare un bel Partituccio del 20 – 25 % al massimo, che cercherà di intrufolarsi alla bell’e meglio nei gangli del potere oppure resterà a guardare sdegnato le imprese di Salvini e Di Maio. Molto fiero e molto sdegnato, ma impotente. Un roba alla Corbyn, insomma.
Così si lascia la palla agli avversari e si gioca di rimessa, per restare al gergo calcistico in voga in questi giorni.
Il nostro compito non è quello: noi dobbiamo essere leader del cambiamento, come lo siamo stati negli ultimi 4 anni.
Abbiamo perso? Non vuol dire che abbiamo sbagliato tutto.
Abbiamo fatto tanto, potevamo fare meglio, soprattutto dovevamo crederci di più; e non l’abbiamo fatto, tutti impegnati a chiederci cos’era di destra e cosa di sinistra, a farci vedere distaccati dall’azione di governo, come se dovessimo subirla.
Ma qualcuno mai rivendicherà l’azione di Franceschini alla Cultura, o di Madia alla PA, o di Minniti e Gentiloni per l’immigrazione, o di Padoan, che ha fatto miracoli con i conti e con il fisco, o di Del Rio con le infrastrutture, o di Cantone all’anticorruzione, di Calenda e Bellanova per le innumerevoli crisi aziendali risolte, di Poletti coi posti di lavoro veri e non finti, e altri che dimentico, perché tutta quella classe dirigente ha offerto una prestazione eccellente?
Ma, si dirà, abbiamo perso. E allora? Buttiamo via tutto?
Non ci sfiora il sospetto che forse abbiamo pagato proprio il nostro attivismo?
Che abbiamo pagato il fatto di avere toccato interessi reali e forti?
Che un sindacato miope, imbelle ma molto attento ai suoi interessi pratici ci ha fatto la guerra in tutti i modi?
Che qualcuno si è sentito leso nel suo potere di interdizione?
Che noi stessi non abbiamo sostenuto con forza e compattezza l’azione del Governo, prestando il fianco (ed alimentandole) alle critiche, ma anche alla derisione degli avversari?
E adesso cosa si propone?
Un “congresso vero, serio e approfondito”. Perché, finora abbiamo fatto congressi finti, ridicoli e superficiali?
Ma come vi permettete di insultare i milioni di iscritti e militanti che hanno partecipato, convinti di partecipare alla vita democratica di un Partito Democratico?
Ci sono porcherie nel Partito? Certo che ci sono, ma guardiamo a tutto tondo, chiediamoci chi ha ridotto il PD di Roma allo stato denunciato da tanti (da Barca a Madia).
Chiediamoci come funziona o non funziona il tesseramento (ha ragione Giovanni Faggioni), prima di buttare al vento un’esperienza come quella delle primarie.
(Ricordo, en passant, che negli ultimi due congressi – finti e superficiali – i risultati tra iscritti e militanti sono stati sempre congruenti. Quindi …)
E chiediamoci se non vogliamo separare la carica di Segretario da quella di Premier solo per essere più liberi di sparare sul Governo, tenerci distinti e non mischiarci.
Serve il contrario, serve l’assoluta unità di intenti tra Partito e Governo, serve dare l’immagine di una corazzata che sa cosa fare e dove vuole andare, non di uno sciame di barchette più o meno grandi, che si ostacolano tra di loro.
Abbiamo dato quest’immagine di compattezza al Paese? Certo che no, e questo NON è l’ultimo motivo per cui abbiamo perso.
Abbiamo sfidato con coraggio i media che ci massacravano oppure li abbiamo blanditi ed anzi strumentalizzati? E neanche questo è l’ultimo motivo per cui abbiamo perso.
Abbiamo rivendicato con fierezza i risultati raggiunti? E quando mai!
La pianto qui: non voglio annoiarvi oltre.
Spero che il congresso NON sia come lo state prefigurando, altrimenti restiamo all’opposizione per il prossimi due decenni.
Auguri a tutti.
PS: non aggiungo “en marche” solo perché mi pare che dobbiamo metterci bene d’accordo sulla destinazione della marcia.
L’unica cosa su cui concordo è l’ultima frase, il resto, scusami Ernesto, è il solito pamphlet autoelogiativo alla Renzi. A me questo documento sembra uno sforzo concreto e positivo.
Sergio
Va bene. Continuiamo a farci del male. Vedrai che andremo lontano!
Basta che sparisca Renzi e tutto tornerà magicamente a posto.
La vostra ossessione ha ormai del patologico e temo che sarà foriera di ulteriori disfatte.
Ovviamente, il congresso andrà bene solo se prevarrà questa linea masochista; altrimenti sarà da fare un altro giro …
Auguri.
Ernesto ma che cavolo c’è di masochismo? Forse il masochista sei proprio tu che di fronte a una lunga serie di sconfitte continui a tenere gli occhi chiusi e volere andare avanti come se nulla fosse successo. Io considero un grande successo che tanti compagni di Scandicci (e tra questi compagni usciti dal PD senza collocazione, compagni che hanno aderito a LeU, compagni del PD critici come me, compagni del PD fiduciosamente renziani etc), si ritrovino tutti insieme per capire come uscire da questo stallo distruttivo e tornare ad essere un partito capace di leggere la nostra azione all’interno di un orizzonte totalmente cambiato. Nessuno vuole tornare indietro, nessuno dà la colpa della situazione attuale alla sola gestione di Renzi. Tutti vedono come i nostri errori vengono da lontano, tutti condividono le ragioni della nascita del PD, tutti vogliono portare avanti le realizzazioni positive dei nostri governi ma anche tutti vogliono impostare il cammino verso quelle zone in cui siamo stati assenti e che oggi ci condannano all’opposizione con così poca forza. E’ possibile che tu non senta il desiderio e l’esigenza di ritrovare un partito inclusivo di tutte le migliori forze e idee della sinistra? A cosa serve il tuo “en marche” se non fai che continuare a perder pezzi durante il cammino e non sai più dove stiamo andando? Se hai la verità in tasca, come sembra, mettiti con umiltà a discutere e non irritarti ogni volta che c’è una critica che non ti torna. Sei un compagno di lunga data, non un principiante della politica.
En marche!
Sergio
Mi pare che lo spirito che anima il documento sia quello di un rinnovato impegno per e nel partito. Questo è ciò che condivido in pieno. Da prima della fondazione del PD e cioè dai tempi dei DS (di cui sono stato tra i fondatori all’Assemblea Nazionale di Firenze) il partito era in disfacimento; quindi storia antica intessuta di burocraticismo e di guerra per bande. Imputare all’attuale gruppo dirigente colpe specifiche in merito è assurdo, ma ciò non toglie che il problema del partito, forse perché sin troppo impegnati in una difficilissima se non impossibile azione di governo, non è stato affrontato e risolto così come era indispensabile affrontarlo e risolverlo. Mi illudevo che lo sfacelo esistente nella mia provincia MS non si ripetesse altrove, ma i risultati del 4/3 hanno rivelato una realtà ancora peggiore. Il problema del Partito esiste e va risolto con l’impegno di tutti (ma proprio tutti!) se non ci vogliamo consegnare ad una destra che peggiore non si può.
Caro Ernesto, condivido tutto quel che hai detto perché è come la penso e dico a tanti amici delusi o scettici.
Mi permetto di aggiungere all’elenco di chi ci ha remato contro a prescindere, anche la dirigenza dell’Anpi di cui mi sono vergognato di essere iscritto e non ho più rinnovato la tessera a malincuore.
Camillo
Caro Sergio, caro Ernesto, cari tutti,
quando due futuri coniugi, litigano prima di pronunciare il fatidico Sì e non riescono ad accettare o peggio ancora neanche discutere le regole della futura convivenza, basata sul “compromesso continuo” , non è opportuno neanche recarsi in chiesa. Se non riusciamo a stabilire chi comanderà nel partito dopo il congresso e L’approvazione di una linea politica a maggioranza il partito democratico sarà ingestibile. Mi dispiace ma non prediligo ne i sermoni,ne i discorsi filosofici. Voglio stare in un partito dove a comandare sia la maggioranza , assumendosene tutte le responsabilità. La minoranza va rispettata ma deve remare nella stessa direzione altrimenti dovrebbe essere “fuori”. Chi non è d’accordo su questo principio, al posto di polemizzare dica cosa vuol fare. Io sono abituato a risolvere i problemi come sopra scritto e proverò fino all’ultimo a capire se nel partito democratico il suddetto metodo può essere accettato. Speriamo di marciare insieme ma senza regole non andremo da nessuna parte. Buona serata a tutti Antonio De Matteo Milano
Caro Sergio,
franchezza per franchezza, ti dirò che “ritrovare un partito inclusivo di tutte le migliori forze e idee della sinistra” mi interessa solo se quel Partito è capace di vincere le elezioni, cioè prendere 14 milioni di voti e tornare al governo.
Follia? Forse, ma altrimenti è puro autocompiacimento sul ruolo di minoranza “felice”.
Mettere insieme una bella forza di opposizione unitaria (che resta unitaria solo fino a quando non si torna a governare sul serio, come esperienza insegna!) mi pare un’operazione forse appagante, ma politicamente inutile e perfino dannosa.
Lo spirito decoubertiniano in politica è appunto masochistico.
Il potere, o lo gestiamo noi, o lo gestiscono i nostri avversari e noi li guardiamo fare, come adesso.
Ci si può indignare, mobilitare con fierezza, ma si resta all’opposizione.
Ho giudicato con durezza il vostro documento (ed il dibattito del quale sono testimone) non per quello che dice ma per quello che NON dice. Ovvero:
– come si fa a riprendere il percorso di riforme avviato e sviluppato dai governi Renzi e Gentiloni.
– come si alza la voce verso un governo con tendenze liberticide,
– come si rivendicano e si difendono le tante cose fatte,
– come e cosa proponiamo tutti i giorni in Parlamento ed alla gente, quali provvedimenti mettiamo sul tavolo
– come ci riprendiamo lo spazio sui media, tutti i media, dopo esserne stati sistematicamente esclusi.
In pratica:
– il PD è disposto a scendere in piazza per difendere i progetti TAV (Torino-Lione, Napoli-Bari, Milano-Trieste), o la variante di valico, o l’autostrada Asti-Cuneo?
– è disposto a difendere la riforma dei beni culturali e gli investimenti per la scuola e la cultura?
– è disposto a dare battaglia contro i condoni, comunque mascherati?
– è disposto a sfidare un sindacato in coma sulle nuove forme di lavoro?
– è disposto a difendere la riforma delle banche popolari e promuovere la ristrutturazione del sistema bancario italiano?
– è disposto a denunciare le connivenze dei media con i nuovi potenti?
Come vedi, sto parlando di temi di governo e non di come rimettere insieme l’opposizione o di come eleggere il Segretario.
Su questi ed altri temi simili si deve costruire la base di consenso per vincere la prossima volta.
Di cosa faccia LeU o Potere al Popolo (parlo di dirigenti, non di elettori) sinceramente me ne infischio: se sono d’accordo sui temi, noi siamo qui e non cacciamo nessuno (anche se a volte …); siamo il Partito Democratico, nato per cambiare l’Italia, non per organizzare l’opposizione.
L’opposizione è una sfortunata contingenza, che va superata in fretta.
Abbiamo ancora una considerevole forza d’urto: usiamola senza timore.
Abbiamo le migliori intelligenze sulla piazza: usiamole per questo fine.
Abbiamo già fatto tanto e dobbiamo continuare a farlo.
Se questo ti pare un “pamphlet autoelogiativo alla Renzi”, me ne farò una ragione.
Io continuo a preferire chi ha fatto cose importanti per 4 anni (e non si tratta solo del vostro assillo Renzi, ma di tutta una classe dirigente!) piuttosto che chi per altrettanti anni ha fomentato dissensi, creato problemi, fatto interdizione senza dare valore aggiunto positivo.
Io, come è chiaro, non ho alcuna verità in tasca; sto solo facendo un’analisi politica un po’ in controtendenza rispetto al dominante senso di scoramento del Partito.
Metabolizziamo la sconfitta e rimettiamoci in cammino.
La direzione, caro Sergio, è chiara: il governo.
La mia risposta alle tue domande iniziali è un tranquillo “sì”. Vorrei che questo “sì” diventasse maggioritario in tutta l’area di sinistra e non mi sembra difficile. Il difficile è convincere le persone ad aderire ad un progetto quando siamo così frenetici nel dire “ce ne faremo una ragione”. In questa situazione non posso non notare tanta delusione tra i compagni ma devo anche notare con più felicità una grandissima voglia di unità e questo aspetto è quello da valorizzare adesso. Non capisco dove sia la contraddizione.
Caro Sergio è caro Ernesto,
il vostro dibattito mi sembra un discorso tra sordi: uno parla dell’acqua e l’altro parla del vino e chi vi ascolta, secondo me, non riesce a seguire ed anch’io mi sto arrendendo.
Faccio un ultimo tentativo poi rinuncio a seguire i vostri discorsi filosofici e dogmatici. Insomma analizziamo tre o quattro.punti Della politica attuale è vediamo se troviamo un compromesso su come portarli avanti. 1 ) Sulla politica dell’emigrazione siamo d’accordo o no che l’impostazione di Minniti era quella giusta?
2 ) Sulla politiche del lavoro cosa facciamo? Miglioriamo la legge del governo Renzi dando più garanzie al lavoratore ed anche all’imprenditore? Se invece si vuol tornare al ripristino dell’articolo 18 lasciando tutto com’era prima di Renzi allora, secondo me,non può esserci un accordo. 3 ) il reddito di inclusione istituito dal governo Gentiloni va bene e possiamo incrementare? Se va cancellato non può ,sempre secondo me, esserci nessuno accordo tra maggioranza e minoranza del PD.
4 ) la legge Madia si può migliorare, ma se per la minoranza del PD va annullata,come per Leu, l’accordo non può esserci.
Scusatemi ma io non vi capisco quando parlate di “pamphlet e “Fierezza dei risultati”. Solo sui problemi veri si può trovare un accordo, altrimenti saremo costretti a subire Trump e Salvini per l’eternità. Scusatemi ancora: io non sono un intellettuale come voi e posso dire la mia limitatamente ai problemi concreti.
Buonanotte a tutti Antonio De Matteo Milano
Dai Antonio, hai capito e seguito tutto benissimo.
Gli esempi che fai sono perfettamente esplicativi dei differenti approcci possibili.
È con quei problemi che ci dobbiamo misurare, è lì che dobbiamo metterci alla prova per capire se vogliamo continuare ad essere un vero partito riformista di centro sinistra.
Anche Sergio lo sa bene! Solo che lui si illude un po’ troppo sulla buona fede di certe persone.
Io confido molto nella nostra base, che ha ancora una voglia matta di riprovarci, malgrado tutto quello che è successo.
Ed è successo davvero di tutto: basta dare uno sguardo agli ultimi sviluppi della vicenda Consip.
A proposito, invito Sergio a pubblicare l’articolo di Sansonetti …
È agghiacciante!
Comunque, alla fine anche Sergio ha adottato l’“en marche “
(e adesso dirà che mi stava prendendo in giro!)
Buona notte!