Un Trotta informato e concreto, molto utile.
Sergio
In questi giorni s’è fatto un gran parlare (e ancora se ne farà) del prestito triennale di oltre sei miliardi di euro chiesto da FCA Italia (ex Fiat) alla banca Intesa Sanpaolo e garantito dallo Stato italiano, secondo quanto previsto dal decreto Rilancio. Una bella rimpatriata tardo-ideologica, che pare uscita pari pari dai giornali del secolo scorso.
Visto che nella mia vita professionale ho fatto automobili per quasi trent’anni (contribuito a fare, perché è un gran lavoro di squadra…) non posso trattenermi dal mettere in fila qualche considerazione sul prodotto, all’inizio del terzo decennio del nuovo millennio (come passa il tempo …!).
L’automobile come prodotto industriale ha poco più di cent’anni e non è esagerato dire che quell’industria ha segnato la storia di tutto il secolo scorso. In quell’industria si sono sperimentati modelli di progettazione, di produzione, di relazioni industriali, di relazioni sociali, una vera fucina del mondo moderno.
Lì è nato il fordismo, ovvero la catena di montaggio, il lavoro parcellizzato e alienante, un modello di fabbrica basato su rigide gerarchie e metodologie, insieme ad un modello di società basato sul consumo.
Lì è anche nata l’emancipazione della classe operaia, la presa di coscienza dei diritti dei lavoratori, il sindacato, lotte epiche ed epocali, …
Di quel prodotto oggi è rimasto ben poco: giusto le quattro ruote con pneumatici, un motore (a scoppio, ancora per un po’…), i sedili, un volante. Per il resto oggi l’automobile è tutt’altra cosa, e domani sarà ben altro ancora.
Anche l’idea, come simbolo del Novecento, è cambiata. Dalla Ford T (di ogni colore, purché nera, diceva Henry Ford), basica e rudimentale, alle favolose berline e fuoriserie degli anni Venti e Trenta, ma anche le più accessibili Balilla e Topolino, o la rivoluzionaria Citroen Traction Avant, con i due galloni sulla calandra; dalla Seicento, simbolo della rinascita del dopoguerra, alle vetture mitiche degli anni Sessanta, Settanta, Ottanta, griffate dai grandi designer. E poi l’alta tecnologia delle auto moderne, i vincoli sempre più stringenti per la sicurezza, le emissioni, i consumi.
Per lunghissimi anni l’automobile è stata un prodotto davvero unico: univa alla complessità tecnologica sempre crescente la complessità industriale della produzione di grande serie, ma anche l’essere vissuta con una forte componente emozionale, ben al di là delle caratteristiche tecniche. Un’automobile si sceglieva come un oggetto personale, come un vestito, o un gioiello, ma dentro nascondeva il meglio della scienza e della tecnologia di un secolo. Nessun altro prodotto ha avuto una tale bizzarra combinazione di tecnica e sentimento.
Certo, un Airbus è tecnicamente più complicato, ma se ne producono qualche centinaio all’anno e vengono scelti professionalmente con gare e trattative riservate a personale specializzato.
Un vestito deve descrivere la nostra personalità, deve piacere, deve calzare a pennello, ma poi sei mesi dopo esce un altro modello, la moda gira, e il prodotto è relativamente semplice da fare…
Un’automobile è tutto insieme: è sempre più complicata, viene prodotta a centinaia (o migliaia) al giorno, tutte uguali ma in realtà tutte diverse, in fabbriche dalla logistica raffinatissima, con tecnologie sempre più sofisticate (altro che catena di montaggio fordista …!), epperò viene scelta solo se “piace”, se ci caratterizza, se evoca, se fa sognare. Chi comprerebbe un’auto brutta, o goffa, o non evocativa di alcunché, se non a fronte di fortissimi incentivi economici promozionali (se insomma non te la tirano dietro…)?
Inoltre, per sviluppare un’auto nuova ci vogliono almeno due o tre anni (una volta ne servivano cinque o sei), bisogna investire capitali ingentissimi, un errore di prodotto lo si paga per anni, e a volte è esiziale. Insomma, fare automobili è diventato via via un mestiere tremendamente difficile, certo molto remunerativo, se va tutto bene, ma anche molto rischioso. Questo spiega perché le case automobilistiche sono poche, tutte molto grandi e con le spalle molto larghe (e se non sono così, si aggregano tra di loro).
Ho personalmente vissuto il passaggio dalle utilitarie degli anni Settanta, molto leggere, molto inquinanti, molto poco sicure e confortevoli, ai modelli del nuovo millennio che, con lo stesso consumo e solo una piccolissima frazione delle emissioni inquinanti (a parte la CO2), portano a spasso il triplo dei chili, resi necessari per garantire comfort e sicurezza. E i numeri parlano chiaro: nel 1970 morirono per incidenti stradali oltre 11.000 persone con un circolante di 11 milioni; nel 2018 i decessi sono stati 3.300 con un parco di 44 milioni. Sempre troppi, ma davvero tanti di meno.
Ora è tutto diverso e lo sarà sempre più, per vari motivi: i vincoli tecnici fanno sì che le vetture si assomiglino tutte, quindi, la caratterizzazione di una volta va a farsi benedire; i costi, e di conseguenza i prezzi di vendita, crescono con la complessità del prodotto (meno, ma crescono), facendo sì che l’acquisto vero e proprio sia sempre meno appetibile; cresce l’idea di pagare l’uso e non la proprietà, con una rata mensile o addirittura al momento dell’utilizzo; si rompe il legame affettivo, emozionale col prodotto, si privilegia il valore d’uso. Inoltre, ci sono le limitazioni a circolare nelle città, i problemi di parcheggio, i costi fissi, tutto converge sulla trasformazione del nostro rapporto con l’automobile da simbolo della nostra indipendenza e libertà di movimento a oggetto che deve servire per soddisfare il freddo fabbisogno di mobilità.
Per finire, la rivoluzione tecnica: i motori elettrici, che non inquinano (almeno non direttamente), la connettività, perché senza non viviamo, la flessibilità, perché non abbiamo sempre le stesse esigenze, addirittura la guida autonoma: entro, mi siedo, dico al sistema di guida dove voglio andare e l’auto mi ci porta, da sola, mentre io mi dedico ad altro. Ormai non è fantascienza, è la realtà dei prossimi (pochi) anni.
Con queste premesse e questo scenario, come si fa a non capire che tutto il business del settore sta per essere stravolto? E come si può non vedere che la faccenda del virus ha ulteriormente mischiato le carte? Da una parte ha bloccato del tutto il mercato per oltre due mesi: niente fatturato per i concessionari, niente per i produttori, niente per i fornitori, niente di niente, migliaia di posti di lavoro a rischio, enormi capitali immobilizzati sui piazzali, da smaltire in fretta perché il prodotto alla lunga si deteriora; dall’altra nuove esigenze, legate alla pericolosità sociale (affollamento) dei mezzi pubblici.
E pur con tutto questo, nessun incentivo previsto per uno svecchiamento del parco circolante, che sarebbe peraltro benedetto soprattutto per motivi ambientali, vista l’età media molto alta delle vetture in circolazione. Ci sono incentivi solo per biciclette e monopattini, e per tutti, senza distinzioni di reddito: sembra una barzelletta, ma è così. In compenso ci si indigna se FCA negozia un prestito con una primaria banca e chiede, secondo la legge, la garanzia statale, peraltro ben remunerata per l’Erario. Incredibile, vero? Vero, vero, ma vero davvero.
Riaffiora in settori della maggioranza di governo un neanche tanto larvato sentimento antindustriale, anti-automobile (ma erano anche NO-TAV, che pure è un treno), quindi anti tutto, il solito sogno bucolico della decrescita felice, oppure i padroni cattivi che minacciano i lavoratori buoni, oppure i complotti di qualche Bilderberg o forse la Spectre, Soros, Buffett, i demo-pluto-giudo-liberal-massonici e altre amenità del genere.
Qui ed ora ci sono fabbriche e posti di lavoro, competenze raffinate e radicate da un secolo, un mondo da ricostruire, che non potrà prescindere dalla mobilità, perché sono 40.000 anni che la specie umana ambisce a muoversi, liberamente: sarà meglio che affrontiamo il problema senza preconcetti, laicamente e con tanto buon senso. Il mondo si muove, che noi lo vogliamo o no. Se non ci muoviamo anche noi verremo travolti.
Vediamo di agire con criterio.
Ernesto Trotta
10 Comments
Caro Ernesto,
anche io ho vissuto nella tua epoca, in cui la nostra società è passata da rurale ad industriale. Tu hai descritto con sufficienza chiarezza la veloce impennata dell’industrializzazione, usando metodi e tempi dello scrivere di quell’epoca. Sono convinto, come te, che la suddescritta società non tornerà più: adesso abbiamo di fronte un mondo in continua evoluzione tecnologica. Ora ci si esprime con, i tweet, i messaggi, le #, in maniera sintetica e risolutiva. Nelle riunione aziendali, di partito, di associazioni ecc le lunghe relazioni di due ore non le ascolta più nessuno: bisogna dare la risposta ai problemi concreti, spesso con un sì o con un no, comunque fornendo una soluzione.
Io cerco di adeguarmi al nuovo mondo e ti chiedo quanto segue.
Lo stato italiano nel garantire il prestito alle aziende, come prevede la legge, deve chiedere delle garanzie alle stesse?
Deve chiedere che quei soldi siano usati per incrementare l’occupazione e garantirla e non per distribuire i dividendi ai soci?
Deve chiedere il pagamento delle tasse in Italia per la produzione italiana? Sono convinto che anche tu ti adeguerai al nuovo sistema sintetizzando le tue risposte alle suddette mie domande. Un caro saluto a te e tutti i nostri lettori su questo blog.
Antonio
Telegrafico, come dice la signora Gruber.
Lo Stato può chiedere le garanzie che vuole, nei limiti del ragionevole ed in coerenza al Decreto emesso.
Il finanziamento ricade su tutta la filiera, dai fornitori in giù.
FCA quest’anno NON ha distribuito il dividendo di 1,1 miliardi, già deliberato, proprio per ottemperare alle condizioni richieste dal Decreto Liquidità.
FCA Italia paga le tasse in Italia per tutte le attività svolte in Italia. E’ la capogruppo che ha sede legale in Olanda.
Per approfondire, consiglio la lettura di un’intervista del 17 maggio a Repubblica di Marco Bentivogli, segretario della FIM-CISL.
Caro Ernesto,
discutere serenamenti e su problemi seri poi un accordo mediato si può trovare. Infatti io e te credo che conveniamo sulla seguente conclusione. Il popolo di centrosinistra difenderà ed aiuterà le imprese e gli imprenditori che mettono al primo posto i loro dipendenti e non il mero profitto.
Gli imprenditori che rinunciano a parte dei loro profitti per difendere e proteggere i loro collaboratori. Ora però in attesa che il governo attuale aiuti le sopra scritte aziende, voglio sottoporre ai lettori di questo blog un nuovo problema che riguarda la salute di tutti noi esseri umani che in questo periodo e fondamentale.
Ecco il tema.
Sulla omeopatia medica spesso si dice: ” i suoi rimedi sono acqua fresca”. Bene! ma tutti noi pazienti, dopo aver letto un bugiardino, il foglione che si trova nei prodotti farmaceutici su prescrizione medica, opteremmo per ” l’acqua fresca” piuttosto che ingoiare quei veleni (lo scrivono le case farmaceutiche) se il nostro medico ci spiegasse i vantaggi ed rischi delle sue prescrizioni.
È vero o no che la medicina ufficiale è in grado di curare pochissime malattie? Spesso anche quelle diventano incurabili con i batteri resistenti agli antibiotici che se ne usano uno sproposito. È vero o no che i farmaci placebi si usano anche nella medicina ufficiale?
È vero o no che i farmaci non si possono usare su tutte le persone affette dalla stessa malattia? Io penso che ai suddetti interrogativi bisogna rispondere. Per quanto mi riguarda io ho gia risposto affermativamente ed apprezzo di più la medicina omeopatica.
Antonio De Matteo Pescara
Ti faccio molti auguri, caro Antonio. Anch’io tante volte mi sono incamminato nel labirinto della medicina omeopatica sentendomi però un vero cretino. Forse è per questa cattiva disponibilità d’animo che non mi ha mai risolto niente.
Sergio
Se si usa il metodo scientifico, quello di Galileo per intenderci, sul quale gira tutta la scienza moderna, l’intera costruzione dell’omeopatia finisce nella spazzatura. Non c’è alcuna evidenza di come essa dovrebbe funzionare e del perché.
Le diluizioni che essa adotta sono talmente spinte da non innescare alcun fenomeno misurabile.
E ciò che non si misura, non esiste.
Come placebo va bene tutto, ma solo quando non c’è altra possibilità. Se invece si rinuncia alla cura in favore del placebo, si mette a repentaglio la vita del malato. Inutilmente.
Non voglio essere gratuitamente tranchant ma questa è l’opinione prevalente nel mondo della scienza.
Grazie per gli auguri Sergio, ma quando si è vecchio, come me, ti devi affidare o a Cristo o al caso. Io ho scelto il caso. Mi è capitato un cugino medico omeopata e scrittore che difronte ai mie insuccessi con la medicina ufficiale mi ha convinto ad accettare i suoi rimedi che non creano danni, come mi era successo con i farmaci prescritti dal mio medico e poi visto la mia predisposizione, come i cattolici praticanti, mi sembrano, per caso, utili. Un abbraccio
Antonio.
Mi tocca precisare, caro Ernesto, ad onore del vero, che la medicina omeopatica non esclude gli antibiotici ed i vaccini. Come dice mio cugino, medico omeopata, F Audisio di somma (TO), ma “cerca di mitigare i veleni della medicina ufficiale”. Poi nel mondo della scienza medica “accreditata”, che è, secondo me, la disciplina scientifica più imprecisa ed in continua evoluzione, di
“ false verità “ ne raccontano tante. Basta pensare agli antibiotici che ci hanno “rifilato” fino a fare diventare più resistenti i microbi.
Se guardiamo poi a tutto quello che “inventano” attualmente i virologi sul Covid 19, senza conoscerlo ed impossibilitati a combatterlo, forse anche la medicina “ ufficiale” meriterebbe, in gran parte, di finire nella “spazzatura”. Non credo quindi che chi non sa come combattere i virus, a partire da quello del raffreddore esistente da quando c’è l’essere umano, non sa come guarire la sclerosi multipla, la slad, l’ebola, l’AIDS, il cancro, l’artrite, l’artrosi e potrei andare avanti per anni, abbia il diritto di giudicare chicchessia . Certo la scienza ingenerale ha il dovere di segnalare i danni verificati da qualsiasi rimedio che venga proposto ed attuato. Non mi pare che la medicina omeopata ne abbiamo creati e quindi, per me ha pari diritti con tutte le altre discipline mediche.
Su questo non ti seguo proprio. Anzi ti combatto (dialetticamente, è ovvio!).
Ci sono i terrapiattisti, ma non hanno affatto pari diritti: sono ciarlatani e basta.
Se oggi si campa in media ben oltre gli 80 anni è per la medicina scientifica e non per le stregonerie.
Se non si muore di polio, di meningite o di vaiolo è per i vaccini e non le chiacchiere
Se non si muore di polmonite o di setticemia è per gli antibiotici e non per l’acqua dell’omeopatia.
Che poi a volte si abusi dei farmaci è tutto un altro discorso.
Di AIDS non si muore più, come di cancro al seno o al colon retto o mille altre patologie.
La scienza NON è democratica. Quello che si può provare è vero (fino a prova contraria). Tutto il resto sono balle.
Scusa se vado giù pesante, ma l’attacco alla scienza è il pericolo maggiore che la società moderna corre.
Abbiamo passato millenni a sentirci dire da presunti sapienti o sacerdoti o stregoni cosa era vero e cosa no.
Da Galileo in avanti abbiamo un metodo, il “metodo scientifico”, che ha risolto il problema.
E’ vero quello che si può provare: tutto il resto è millanteria. Da allora l’umanità ha cominciato a correre davvero.
Stammi bene Antonio (e per stare bene devi curarti sul serio).
Caro Ernesto,
io non ho paura di “combattere”con la lingua liberamente e rispettando il parere altrui , ma non mi piace usare i trucchi e gli inganni e per questo faccio le seguenti considerazioni.
1) io non ho parlato di stregoneria, ma di medicina omeopatica, cioè di medici che utilizzano un metodo integrato per curare i loro malati, utilizzando vaccini ed antibiotici se sono utili.
2) Prima che la farmacologia industriale sintetizzasse i principi attivi delle piante ci si curava con quest’ultime ed i prodotti venivano preparati per singoli pazienti dal farmacista con meno danni. Poi per una questione economica hanno prodotto medicine sintetiche uguali per tutti per la stessa malattia con notevoli danni, mai rilevati.
3) Permettere gli esperimenti non nocivi nelle varie scienze è fondamentale per il progresso.
La storia umana l’ha dimostrato ampliamento. Al grande Gallileo, la “scienza ufficiale” dell’epoca gli impediva di dire ” e pur si muove” “,considerandolo “ciarlatano” e blasmemo nonostante avesse ragione,nel tempo dimostrato. Usarono la seguente frase. ” È vero quello che si può provare: tutto il resto è millanteria”. Non credo che il grande fisico darebbe del
” ciarlatano” a chi con dati in mano volesse mettere in discussione le sue leggi.
Quindi per concludere scrivo: non sono un medico, ma sono in grado di scegliere i consigli di quest’ ultimo e quando mi dice di curare un forte raffreddore con gli antibiotici, rifiuto e torno all’origini della medicina omeopatica con il decotto di mia nonna che era analfabeta, ma non una ciarlatana ed aiutò tante persone.
Caro Ernesto io non è che non voglio seguirti, ma sono contrario a qualsiasi tipo di guerra e tu dando del
” ciarlatani” a professionisti medici che la pensano diversamente da te, mi suggerisci di farla.
Meglio abbracciarci con idee diverse.
Pace e bene a tutti.
Antonio De Matteo Pescara
Ossignur (qui in Sabaudia si dice così!), Antonio!
Speravo proprio che in questo blog non avremmo mai dovuto ingaggiare una tenzone dialettica su un argomento come la scienza, argomento sul quale io davo per scontata una certa e consolidata convergenza di opinioni.
Evidentemente non è così, e me ne dolgo assai.
Tu in effetti non hai parlato di “stregoneria”, ma io sì. E l’ho fatto perché tutto quello che è fuori dal “metodo scientifico” è assimilabile alla stregoneria (o chiamala come vuoi tu). La medicina stabilisce e verifica nessi precisi tra cause ed effetti, tra i rimedi e i loro impatti sulle malattie. La stregoneria non sa farlo, e non può farlo.
Anche gli egiziani, ed i romani, usavano la corteccia del salice per curare un sacco di disturbi, lo constatavano empiricamente, funzionava, ma è solo quando si è capito il meccanismo di funzionamento che l’aspirina (ovvero l’acido acetilSALICICO) è diventata una vera medicina. E così tutte le altre medicine. Gli antibiotici, tua nonna non li conosceva né poteva sintetizzarli, per cui se il tuo raffreddore fosse evoluto in una infezione batterica, tu saresti morto. Semplicemente, malgrado i decotti di tua nonna.
La differenza tra Galileo ed i suoi accusatori era semplicemente quella che Galileo poteva dimostrare quello che diceva, con l’esperienza diretta, mentre Bellarmino poteva solo rispondere con IPSE DIXIT! Quindi il ciarlatano era il suddetto cardinale, che infatti la Storia ha provveduto a mettere al suo posto. Anche se la Chiesa ha impiegato altri 400 anni a riabilitare Galileo.
Infine, la cosiddetta medicina “alternativa” non ha alcun dato da esporre, non ha alcun nesso da dimostrare: non è mai riuscita a farlo. Quando e se mai lo farà (io nutro qualche dubbio), tutto il consesso degli scienziati esaminerà i dati comparandoli con l’esperienza disponibile e giudicherà la validità degli stessi. La scienza usa fare così: si chiama “peer analysis”, analisi tra “pari”, fatta con strumenti certi e dati certi. Nessuno è escluso dal processo, basta che abbia le caratteristiche per partecipare.
Il resto è “stregoneria”. Sorry, ma non possiamo permetterci di tornare indietro di qualche secolo.
Ultima notazione: un medico che volesse curare un’infezione virale con un antibiotico non sarebbe un medico ma un asino, anche se avesse preso, chissà come, la laurea. Ci sbattiamo con il Cov-19 cercando un vaccino, o un antivirale, non certo un antibiotico, del quale sono piene le farmacie.
Caro Antonio, temo comunque di non riuscire a convincerti, per cui eviterei di tediare tutti i partecipanti al blog con queste nostre discussioni.
Rinovello l’invito a stare bene, e a curarti per bene, ove necessario.